L'estate scorsa, sul volo di rientro dalla Scozia, finivo questo libro islandese, si chiamava La vita degli animali, mi perdonerete se non riesco a pronunciare il nome della scrittrice. No, va', lo cerco e lo copincollo: Ólafsdóttir, Auður Ava. Ecco qua.
Dicevo. A un certo punto parlava del fatto che esiste una parola islandese specifica per indicare i grandi compleanni: i dieci, i venti, i trenta e così via.
Bene, io tra due mesi compio quarant'anni. Dev'essere un grande compleanno, immagino.
Se penso alla mia vita vedo una serie di eventi traumatici di cui avrei fatto volentieri a meno e, in questi ultimi, difficilissimi, tre anni, mi sono chiesta tante volte se ne è valsa la pena, se vale la pena vivere così. Ma poi, guardando alla mia vita in termini di direzione e non tanto di fatti accaduti, non mi sembra poi così male.
Sì, lo so che sono cervellotica, che esagero coi metapensieri, e mi sono detta più volte che sarei più felice se imparassi a semplificare, invece che impelagarmi continuamente in freestyle filosofici che non vogliono arrivare a una soluzione, ma hanno il solo scopo di trivellarmi il cervello, perché io possa crogiolarmi più a lungo nella complessità . Ma è il mio modo di essere umana.
Comunque, ecco la direzione di questi miei primi quarant'anni.
Il mio primo decennio
La mia venuta al mondo è stata un problema. Per mia madre, diciannovenne. Per mio padre, in carcere. Per i miei nonni, che avrebbero dovuto crescermi. A due anni dalla mia nascita, è arrivato anche mio fratello e mio padre se n'è andato in comunità . Da quel giorno ho sperimentato la più assoluta mancanza, ed è un sentimento che non mi ha mai abbandonato, che non ho imparato a gestire, che a volte mi prende alla gola e mi fa mancare l'aria. Una mancanza feroce.
Ho imparato a scrivere nel cortile della casa popolare a quattro o cinque anni, e quando ho compiuto sette anni mia madre mi ha regalato un diario segreto. Nella prima pagina, ho scritto questo:
"Caro diario, mi chiamo Valentina, ho sette anni e molti problemi. Per esempio a mio nonno è appena venuto un ictus".
Mio nonno non si è mai ripreso del tutto, e dopo circa un anno, ho perso mio padre. Nessuno ha avuto il coraggio di dirmelo per tre mesi, e in quei mesi ho pensato che lui mi avesse abbandonata. Ha fatto così male che neanche sapere della sua morte mi ha tolto di dosso quella sensazione di abbandono.
Nei miei primi dieci anni, l'unica cosa che avevo era la scuola. Ero la più brava della classe, e questo mi ha fatto scoprire almeno una cosa su Valentina: che era un essere pensante, oltre che scrivente. Anche se ben presto ho capito che per sopravvivere nel mio ambiente, non dovevo assolutamente eccellere.
Il mio secondo decennio
Durante il mio secondo decennio, mi sono staccata dalla mia famiglia d'origine. Ho accettato di essere diversa e forse ho pensato di essere migliore; di certo ho capito che ero una cagna sciolta, e ci ho fatto i conti, nel bene e nel male.
Sono stata la prima diplomata della famiglia, pur facendo lavori umili d'estate o nel weekend come mi veniva richiesto. A diciotto anni ho perso nonno Gino. A diciannove mi sono messa con il padre delle mie figlie, contro il parere di mia madre. Quando non avevo neanche vent'anni a mia nonna è stata amputata una gamba in cancrena ed è venuta a vivere con noi, avviata verso la demenza.
Se volevo davvero essere Valentina, dovevo staccarmi anche fisicamente dalla mia famiglia e prendere il volo verso la mia vita. Immaginavo che mi sarei trasferita all'estero, forse in Argentina.
Il mio terzo decennio
Il mio terzo decennio, dai venti ai trenta, è stato quello della costruzione. Sono stata la prima laureata della famiglia (vabbè, una modesta triennale, ma per me un grande traguardo), ho fatto tre bambine e questo è il motivo per cui ho accantonato quel progetto di esportare la piadina romagnola, ho comprato e ristrutturato una casa fuori città , a BucoDelCulo, mi sono lasciata con il padre delle mie figlie, mi sono inventata un lavoro, che peraltro prevedeva che io scrivessi; ho trovato nuove amiche e ho cresciuto le mie bambine.
Mia madre e mio fratello, ora che non vivevamo più assieme, sono diventati i miei punti fermi. Avevo finalmente una casa dove mi sentivo a casa ("quella confusione creativa dove vivevi", l'ha definita un mio amico romano). Avevo amiche che riempivano la mia vita di amore e sorellanza. E avevo anche aperto un blog per raccontare questa mia vita abbastanza felice e, mi rendo conto ora, un po' fuori dagli schemi.
Ma ancora mancava qualcosa: il mio spirito d'avventura citofonava. Così un giorno ho riempito un furgone e me ne sono andata, con le Brulle, alla volta del mare.
Il mio quarto decennio
Dai trenta ai quaranta ho realizzato i miei sogni. Ho trovato un lavoro dove guadagnavo meglio, ho lasciato i miei luoghi d'origine, ho cambiato città , ho fatto tutti i viaggi che avevo sempre sognato, ho scritto due libri, visto la mia vita in una serie tv, e, ultimo in ordine cronologico, ritrovato la persona giusta per me dopo dieci anni. Ho realizzato il sogno più grande che avevo: incontrare quel mio fratello che mio padre non aveva riconosciuto, e insieme a lui sua moglie e sua figlia.
Sono stata la Valentina che mi ero immaginata e spesso me ne sono proprio accorta, l'ho percepito: quella prima volta al mare in bici, quella volta su quel tetto a Roma a mangiare coda alla vaccinara, quella volta in moto sul monte San Bartolo, quella volta in vacanza in un cottage nei Costwolds con le bimbe, e ancora io e Lucia a Gorizia a presentare il mio libro, quella volta in pellegrinaggio a piedi con i miei nuovi amici, e tutte le volte che ho bevuto troppo e fatto tardi in giro per Rimini, senza vincoli, senza orari.
Poi è successo che un giorno tutto mi è crollato addosso, e ho dovuto rivivere a uno a uno tutti i traumi che pensavo, stupidamente, di essermi lasciata alle spalle. L'abbandono, la paura per il futuro, l'angoscia, la solitudine, l'umiliazione. Ma di questo non sono ancora pronta a parlare, o meglio, no, non ora non qui.
Dal mio quinto decennio mi aspetto meno zavorre. E forse di trovare il mio posto nel mondo e in mezzo agli altri, ora che ho finalmente trovato me stessa.
Da quello che leggete, a voi, quale sembra la mia direzione?
Quella di scoprire e realizzare altri sogni, quelli di Valentina adulta. E magari dovendo fare i conti con meno compromessi e fatiche di quelle che hai dovuto attraversare in passato. Non lo dico per sminuire quello che hai fatto, anzi, proprio il contrario. Però ti auguro che nella tua vita aumenti la dose di semplicità , quel tanto che basta per potersi godere fino in fondo le cose.
RispondiEliminaMe lo auguro anche io, ma mi pare di attirare persone complesse e situazioni complesse e di ritrovarmi spesso ad avere un ruolo importante nelle complessità altrui.
EliminaMi verrebbe da dire, accettare l'incertezza di sempre ri-iniziare... viaggiare guardando e godendo del panorama... ❤️
RispondiEliminaRi-iniziare sempre mi piace <3
EliminaLa direzione è quella giusto una spanna davanti a nostri piedi, giusto quella che guardiamo e, molte volte, non riusciamo a vedere. La direzione è quella che capiremo solo quando avremo già girato l'angolo convinti ed ignari. La direzione è proprio lì, come la nostra vita ... buen camino!!!
RispondiEliminaGrazie!
Elimina"ostinata e contraria" suonerebbe bene ma non corrisponde a verità .
RispondiEliminaProbabilmente è servita ostinazione e anticonformismo per superare gli ostacoli ma la direzione mi pare quella che protegge e fa crescere la te stessa bambina che scrive sul diari,i cortili di provincia, i fratelli perduti, le bimbe brulle. Insomma non è una direzione nichilista, è più una direzione del cantastorie che raccoglie poesia, la poca che c'è, e la distribuisce.
Che meraviglia, grazie.
Eliminatu sei una persona molto centrata, è quello che ammiro tanto di te, anche se forse è una di quelle cose che sei o non sei. Spero che questo centro ti porti a stare bene, a fare meno fatica, come dice Chiara, non perché ti adagi, ma perché più invecchiamo meno ce ne importa, si sviluppa meglio il sano egoismo, quello he non ti costringe a fare fatica per proteggere il tuo centro. E ti auguro tutta la sana solitudine di cui hai bisogno
RispondiEliminaah, la solitudine sana, come mi conosci bene <3
EliminaLa direzione? Quella di Valentina che tira un sospiro di sollievo. Me lo sento 💓
RispondiEliminaNon so, sono ancora troppo giovane per il lieto fine :D
EliminaLa direzione è liberarsi anche da quello che ti sei immaginata per te, che anche se non pare è ancora riflesso del "prima" (sia pure per reazione) e goderti quello che sei, che ti piace, che vuoi. E sono sicura che sarà bellissimo.
RispondiEliminaHai ragione, è proprio quello che sto vivendo, non senza conflitti.
EliminaMa soprattutto, ho bisogno di liberarmi della storia che mi sono raccontata sulle mie figlie, perché non è la mia storia e non ne sono neanche il narratore, devo imparare a essere lo spettatore.
EliminaPer il passaggio ad "essere spettatrice" a me ha aiutato il compimento dei diciotto anni di mia figlia. Io ho la tua età ed ho avuto lei a vent'anni. Quando ne ha compiuti diciotto, ho davvero avuto quest'immagine: "Che lavoraccio, un lavoro ben fatto. Ora la consegno al mondo e mi riprendo un po' il mio". E' stato un click nella testa. Ho iniziato a pensare che le scelte sarebbero state le sue e che io potevo consigliarla ma che la responsabilità di tutto (università -lavoro-amici) non sarebbe più stata mia, ma sua.
RispondiEliminaIo ti vedo nella direzione giusta :) Buon cammino! Roberta
Un percorso di leggerezza, ma anche d’impegno e serietà . Anche per essere sereni e vivere momenti di felicità pensando, come diceva Rogers, al qui ed ora, ci dobbiamo concentrare e lasciar scivolare corazze e difese. Un pizzico di superficialità e di incoscienza aiutano sempre. Leggerti ,comunque
RispondiElimina,è un piacere e ogni volta che scirvi mi regali momenti piacevoli e mi aiuti a capire me stessa. Grazie
<3 dico solo che mi piaci, sempre, e mi sembri perfettamente in bolla <3
RispondiEliminaChe in questa vita tutto quello che abbiamo davvero è "la direzione", nel senso che tutto ciò che facciamo, sempre, tutta la vita, è cercarla, o inseguirla o che ne so. Perché noi vorremmo fermarla ma lei, no, cambia sempre: siamo noi che continuiamo a stupirci di questo. Ecco, prendere coscienza del fatto che non si arriva mai a un punto fermo, per me è già tanta roba.
RispondiEliminaCome stai? Ci sono stati molti danni causati dall’alluvione dalle tue parti ?
RispondiEliminaCiao Vale, come stai? È tanto che non scrivi qui. Io non ho facebook, Istagram Twitter o tiktok. Mi manchi.
RispondiEliminaCiao, come faccio a rimanere in contatto ? Leggerti m fa piacere e mi aiuta
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