Se riguardo bene a questo disastroso 2021, trovo un filo conduttore che ho pagato a caro prezzo: mi sono concessa il lusso di essere me stessa. Sempre.
Indipendentemente dalla morale di Facebook, diventata insopportabile
rumore di sottofondo. Indipendentemente da tutte le voci che mi hanno detto in
passato di cavalcare l’una o l’altra opportunità. Indipendentemente dalle
vessazioni di una politica e di una società che sembrano spesso strisciare nel
fango. Indipendentemente dai pareri delle persone che ho più care.
Ascolto solo me. Anche perché solo io pago per me.
Il lusso di essere me stessa ha alcuni lati positivi. Il
primo: mi guardo allo specchio e mi riconosco. Il secondo: sono circondata da
persone che mi riconoscono e che spesso mi stimano, anche laddove non mi stimo
io stessa. Il terzo: ho un lavoro che amo, che mi permette di tenere in piedi
tutta la baracca, ed è un lavoro dove posso permettermi di andare in camicia in
flanella e scarpe da ginnastica senza chiedermi che impegni ho quel giorno,
perché ho puntato tutto sulla credibilità, e niente sull’apparenza (non che mi
sembri sbagliato vestirsi bene eh, è solo che a me piace vestirmi casual, e, spesso, con indumenti senza connotazione di genere se non, ovviamente, la
vestibilità alle mie forme femminili).
Non ve ne parlo mai ma faccio un lavoro figo. Ma soprattutto
mi trovo nella posizione dove voglio essere: né sbilanciata dalla parte dell’ambizione
che ti toglie il diritto alla vita privata, né su un livello basso che
oggettivamente porta poco valore. Occupandomi di marketing, i due estremi su
cui non vorrei collocarmi si concretizzano da un lato nella grande agenzia che
fa grandi progetti, da un lato nell’improvvisazione. Da gennaio 2016 mi concedo
persino il lusso di lavorare in realtà dove ho attorno persone come me, che non
puntano ad altro se non a fare un buon lavoro.
Fuori dal lavoro, a volte lavoro. E anche lì non corro dietro
ai soldi ma ai progetti che mi piacciono. Non ho bisogno di raccontarli, non ho
bisogno che ci sia il mio nome o la mia faccia, non ho bisogno di essere riconosciuta.
Ho bisogno di guardare un progetto e dire: bello, Vale. Oppure: che schifo
Vale, almeno ti sei divertita a farlo?
Il 2021 è stato dunque un buon anno, lavorativamente. Ho
cambiato lavoro per sfuggire a una cassa integrazione che mi toglieva la
dignità e mi sono ritrovata in una primavera professionale; ho fatto un piccolo
progettino editoriale con una grossa casa editrice, e ho in ballo un progetto
che mi ha permesso di ravanare nella merda che ho dentro e tirare fuori
qualcosa che ha un significato e un messaggio anche per gli altri. Ci vorrà
tempo e non so se andrà in porto, ma non importa. Ho anche un’idea su come mi piacerebbe il mio futuro lavorativo nel medio termine; e ho
acquisito alcune competenze in un ambito che non c’entra nulla con quanto fatto
finora ma che può funzionare per me. Chissà.
A casa è stato un anno difficile. Credo il più difficile
della mia vita. O forse no, ma quasi. Ho frequentato ospedali e pronti
soccorsi, ho pianto, ho stretto i denti, ho provato ad aiutare. Ho urlato raramente ma molto spesso ho
bestemmiato tra i denti. Però se dovessi disegnare una curva del dolore, questa
curva ora sarebbe in fase discendente, anche se con qualche picco verso l'alto. Ho accettato che le cose non
siano andate come credevo. Ho guardato di nuovo in faccia un karma con cui
speravo di aver chiuso: quello dove non ho il controllo. Sto cercando di aprirmi a quello che l’universo vuole
dimostrare attraverso la mia esistenza.
L’universo mi ha comunque mandato la persona migliore che
potevo incontrare, Lorenzo, e cerco di meritarmelo.
Esco meno, viaggio meno, non ho più voglia di andare al
cinema o alle mostre, o in tutti quei posti dove devo giurare su dio di stare
bene prima di entrare: questa nuova concezione della salute e della presunta contagiosità
mi ricorda tanto i tempi dell’AIDS, ma peggio.
Not in my name.
Comunque, sono riuscita a godermela un pochino: ho fatto
almeno due viaggi da top ten dei viaggi, ho letto molti libri molto belli, a
volte mi sono data alle cose rassicuranti da cui mi ero sempre tenuta ben
lontana: che ne so, fare l’albero di Natale; stare ore in spiaggia; fare la
passata di pomodoro; salutare
la senzatetto che incontro tutte le mattine. Abbandonare un trekking perché non ce la facevo.
Un 2021 terribile, ma qualcuno diceva che ogni fallimento e ogni avversità portano in sé un seme di beneficio.
Spero di essere in grado di utilizzare questa spessa
corteccia di dolore per prendermi un po’ di cose buone per me, per noi.
Che questo lusso che mi concedo non sia fine a se stesso.
io ti voglio bene, in caso ti possa sfuggire tra una cosa e l'altra
RispondiEliminaMi metto in cosa per il bene anche io.
EliminaVi voglio tanto bene anche io.
EliminaPresunta contagiosità??? Presunta????
RispondiEliminaCiao Marzia, quello che ho scritto è contestualizzato, il tuo commento no.
EliminaSe sei in paranoia e ami puntualizzare la tua personale opinione con tanti punti interrogativi, temo che tu sia nel posto sbagliato.
Il lusso di poter essere sempre noi stessi è impagabile!!!
RispondiEliminaHai ragione, scusa.
RispondiEliminaLa contagiosità è sicura, non presunta, non importa quanti punti esclamativi ci siano o quanto uno sia sprezzante.
RispondiEliminaGrazie per la precisazione.
EliminaMi risulta che il totale dei contagiati in questi due anni in Italia sia stato di 5 milioni su circa 60 milioni di abitanti, dunque il fatto che chiunque si presenti al cinema senza sintomi (questo dicevo nel post) sia "di contagiosità sicura", mi pare una percezione tutta tua, che rispetto ma non condivido.
Puoi serenamente evitare qualunque tipo di contatto umano per non "contagiarti sicuramente", non sarò certo io a giudicarti.
I punti esclamativi invece non li conteggio come dato scientifico, mi stanno sul cazzo e basta.
"I tempi dell'AIDS" non sono finiti però...l'HIV purtroppo esiste ancora ed è ancora contagioso. Poi che oggi la malattia si possa tenere sotto controllo, è un'altra storia. Però il virus esiste, ed è meglio non prenderselo.
RispondiEliminaCerto, è vero. Con "I tempi dell'aids" intendevo dire i tempi in cui la gente temeva che essere sfiorati da un sieropositivo equivalesse ad ammalarsi e a morire seduta stante. I tempi in cui era necessario che le pubblicità progresso spiegassero agli italiani come si contrae l'hiv. Quei tempi non sono del tutto finiti, né tantomeno il virus è stato debellato, tuttavia forse le persone sono un po' meno ignoranti al riguardo. Forse.
EliminaE sì, il virus oggi si tiene sotto controllo, ma solo se stai nel primo mondo e hai accesso ai farmaci.