Sto vedendo la luce in fondo al tunnel e questo è sempre il momento più delicato in assoluto, perché se la luce è un’illusione, allora ricominciare a guardare il buio del tunnel diventa insostenibile. No, col cazzo che arredo il tunnel, ho solo una vita, il tunnel arredato tenetevelo voi, che io voglio i sentieri di montagna, lo sciabordio delle onde del mare, l’indifferenza delle città.
Comunque, forse per la prima volta nella mia vita, se guardo avanti non mi vedo da sola. Tunnel o meno. Per la prima volta da almeno dieci anni, nonostante un buon numero di tentativi poco convinti e infatti naufragati, sento che c’è qualcuno vicino, dove per vicinanza non intendo prossimità fisica.
Nel mio futuro, le bimbe non ci sono più come prima. Non credo di aver vissuto traumi simili a questo, a parte la mancanza di mio padre che ha segnato ogni singolo giorno della mia vita.
Il trauma di accorgerti che il tuo lavoro di genitore è quello di levarti dalle palle, mi ha veramente centrata in pieno, come una specie di spadellata sulla faccia. Ahia.
Tornando indietro, non mi preoccuperei di cose ininfluenti come: la mia pancia sarà abbastanza grande? Sarò una stronza se allo scoccare dei sei mesi della creatura riprendo la giurisdizione delle mie tette? Sarò una stronza se mi disgusta togliermi il latte con la macchinetta e somministro l’artificiale? Sarò una stronza se vorrei scappare quando mi sveglia di notte? Sarò una stronza se compro un passeggino usato?
Mi rendo conto di quanto il professare con ardore certe scelte anziché certe altre, vaccini o non vaccini, bio o non bio, pannolini usa e getta o pannolini lavabili sia più un affermarsi come tipo di mamma, tipo di donna, target delle pubblicità sui social. Non fa la differenza nella vita di una persona.
Mi rendo conto di aver fatto cose assurde dettate dai miei vent’anni e dalla mia inesperienza, ma ho fatto quello che mi sembrava giusto, e l’ho fatto con amore, prima per loro, e poi anche per me. E se facessi un figlio adesso, i consigli del mondo sulla maternità mi farebbero una pippa: perché ne ho cresciute tre da sola, sono arrivata fin qui, e siamo tutte vive. Ero una ventenne piena di traumi, non avevo mai vissuto in una famiglia normale, non avevo un lavoro né una professionalità, non avevo un soldo e non avevo un’educazione emotiva. Mi vergognavo di essere introversa, mi vergognavo di essere orfana, mi vergognavo di essere povera, mi sono vergognata anche di essere incinta, e poi di nuovo incinta.
Avevo solo una gran fame, quella mi ha sempre portato avanti. Mi ha fatto imparare a fare la mamma (forse male), mi ha fatto imparare un lavoro, comprare una casa, cambiare tre città, costruire ricordi, risparmiare dei soldi, avere degli amici.
Quella fame in fondo è l’unica cosa che possiedo davvero. Mia madre dice sempre che non è vero che sono stata da sola, che lei è sempre stata lì, ma io so che ogni singola responsabilità, ogni singola decisione, anche quelle più difficili che ho preso recentemente, ecco, io le ho prese da sola.
Io da sola mi sono presentata a maestre, presidi, professori, questori, allenatori, psicologi, medici a rendere conto di ogni singola scelta che ho fatto. Io da sola rendo conto alle mie figlie ogni giorno di ogni singola scelta che ho fatto.
Tornando indietro forse cercherei di capire come funziona l’autorità e come funzionano le regole. Anzi no, non ne sarei in grado. Non sono capace di imporre a qualcuno cose di poco conto, come vestirsi così o colà, o andare a letto alle nove o alle nove e mezza. Il risultato sono tre adolescenti che non hanno capito che la libertà è l’esercizio dell’autocontrollo. Dio sa se fa male stare a guardare. Dio sa se fa male ammettere che libertà è anche libertà di sbagliare.
Chi dice il contrario io credo che semplicemente non sia liber*. Chi dice di limitarle in questo e quello, di proteggerle in questo o quel caso, magari ci ha pure ragione. Ma chi professa la libertà per sé e la nega agli altri e ai propri figli, non è una persona libera, è una persona egoista.
Che poi, niente è male o bene in assoluto. Potrai dare un giudizio sul breve periodo, ma non certo sul lungo. Il male si può trasformare in bene e viceversa.
Tornando indietro forse cercherei di far insegnare loro le regole e l’autorità da qualcun altro, non so, dal catechismo. Anzi no, non avrei mai potuto fingere di apprezzare la chiesa o di credere in dio. Forse però una cosa la farei: non aspetterei le medie per mandare Carolina agli scout. Quello è stato un ambiente sano, ma ci sono arrivata troppo tardi e la pandemia ha interrotto il flusso. Ma come avrei potuto mandare le altre due agli scout? Sono due introverse, avete idea di come se lo vive un introverso l’obbligo della comunità? Un cazzo di incubo, ve lo dico io. Se penso a me da bambina (e a Camilla per com’era fino a un anno fa, cioè una bambina introversissima), la rappresentazione dell’inferno sarebbe assomigliata a un campo scout.
Tornando indietro una cosa che farei è farle dormire con me. Hanno sempre voluto dormire con me, a volte lo chiedono ancora, ma io in passato le mandavo spesso via, dicevo che dormivo meglio da sola. Forse le lascerei invadere ancora di più i miei spazi.
Tornando indietro, forse istituirei il concetto di proprietà. Separerei gli armadi e le mutande, affinché capissero che non possono distruggere tutto perché tanto le cose sono senza valore e sono di tutti. Anzi no. Come potrei fingere che possedere qualcosa sia un valore? Il risultato è che ora apro il cassetto e non vi trovo né mutande, né reggiseni, né calzini, perché ora che portiamo taglie più simili il loro cassetto condiviso delle mutande s’è espanso al mio.
Me la sto raccontando? Forse. Qualcosa deve essere andato storto, oppure semplicemente mi sono fatta delle aspettative sbagliate, come che un genitore possa determinare la vita di un figlio o che possa andare in palestra e farsi due spalle così per proteggerlo per sempre. Non era vero.
A dire il vero, tornando indietro non so dove ho sbagliato. E credo che sbaglierei di nuovo.
ma io non capisco come ti venga in mente che devi per forza aver sbagliato qualcosa. Hai fatto delle scelte in linea con i tuoi valori, questa è una fase di passaggio. Prima o poi vedi come le difendono le loro mutande e lì saprai che sono cresciute. (In fondo io a mio padre fregavo calzini e camice, e
RispondiEliminalui il giorno che non si ritrovava più le mutande ha capito che anche mio fratello era cresciuto. Sono fasi, ci passiamo)
Tornare indietro non di può e sicuramente tu hai sempre fatto il tuo meglio in quel preciso momento. Non credo che l'adolescenza sia il momento più "opportuno" per valutarsi come genitore. Rimanda la questione di 20 anni e cerca di uscire fuori dal tunnel con meno ossa rotte possibile
RispondiEliminaNia
Sei molto severa con te stessa, troppo. Le scelte delle tue figlie non dipendono tutte da come tu le hai educate o abituate. Sono persone, con caratteri e idee proprie. Non addossarti tutte le colpe del mondo. L'adolescenza poi passa. Vedrai.
RispondiEliminaIo credo che ognuno faccia quello che in quel momento era in grado di fare. Ognuno fa quello che in quel momento può fare. Non è un luogo comune, pensaci, quello che puoi fare è esattamente quello che puoi. Di più non potevi. A me da una serenità pazzesca.
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