Nonostante io sia nata nel 1983, sono stata cresciuta dai miei nonni proprio come è stata cresciuta mia madre e i miei zii nati negli anni sessanta.
Mio nonno veniva da una famiglia di contadini repubblicani, sfollati in una casa popolare a Faenza dopo la guerra; mia nonna invece per sposarsi con mio nonno, si era trasferita da Castel Bolognese. Una dozzina di chilometri, ma una grande distanza per lei che non aveva la patente. Sono stata cresciuta in un piccolo appartamento senza riscaldamento, come se fossi nata anche io negli anni sessanta e non nel decennio più edonista del secolo. Sono stata cresciuta senza pulizia e senza igiene, neanche minime: stavamo come saremmo stati in una stalla dell’entroterra romagnolo. Eppure, non mi sono mai ammalata. Ho passato le domeniche della mia infanzia a bordo del camion di mio nonno, a far visita ai parenti delle campagne che ristrutturavano le loro abitazioni secondo la moda dell’epoca - mobilio imponente e standardizzato, atto a contenere molti oggetti - mentre noi continuavamo a vivere senza il bidet e senza l’attacco della lavatrice. Mi chiedevano se da grande volevo fare la modella, io rispondevo che volevo scrivere, anzi, che scrivevo già, autodidatta dai cinque anni.
La mia infanzia, è un mondo sparito. Non è sparito solo il mondo, anche le persone: i miei quattro nonni, non ci sono più. A volte, nella mia casa pulita e luminosa, faccio il giro delle stanze, per controllare che ci siano ancora, almeno loro. Apro le porte, accendo le luci, e torno sollevata alle mie occupazioni.
Si parlava il dialetto dell’entroterra, che ormai non parla più nessuno; si giocava alla briscola; ci si radunava in cortile con le vecchie, le sedie in cerchio, le sere d’estate. Come si fosse ancora al casolare.
Foto fatta da me ma non correlata a quanto scritto sopra |
La cucina di nonna, è un’altra cosa che non si è conservata. E niente mi fa pensare al concetto di famiglia quanto i suoi sughi unti e saporiti. Nella mia infanzia non ho mai mangiato una verdura diversa dalla patata arrosto o dal pomodoro in gratè. Mai vista un’insalata neanche con il binocolo. Mai visto un broccolo, una carota, una foglia di insalata, un cetriolo fino a quando mia madre si sposò con un uomo che era stato in India e cucinava verdure, con mio grande disappunto.
La cucina di nonna non era cucina romagnola ortodossa, o meglio, lo era, ma con concessioni ai gusti famigliari. E infatti non mancavano i primi, con un ragù di salsiccia denso e un alto strato d’olio. C’erano gli strozzapreti, che sono come dei corti noodles impastati solo con acqua e farina, senza uova; e c’erano i cappelletti in brodo di cappone, e i cappelletti erano sempre più grandi perché nonna era sempre più cieca. C’era il riso in brodo, dentro al quale si sbatteva una poltiglia di uova e forma, dove per forma intendiamo il parmigiano. E la spoja lorda, cioè la sfoglia sporca: piccoli rettangoli di pasta all'uovo ripieni di ricotta, parmigliano e prosciutto. Il piatto forte di casa, comunque, era la pasta e fagioli, densa e rossa di conserva. Come pasta andava bene tutto, però se c’erano i malfatti o maltagliati, grandi rombi di pasta all’uovo, era meglio. Quando si faceva il brodo, poi restava il lesso, e nonna badava sempre che ci fossero due o tre piedini di pollo per me, e non vi so dire quant’era gustoso il polpastrello: tutto grasso. Tutti, mia madre, i nonni, gli zii, mio fratello, amavamo schiacciare un formaggino Susanna nel brodo. Io poi conservavo meticolosamente le figurine che erano in regalo con i formaggini, e le attaccavo al frigo, specie dove c'erano quei grandi solchi che non volevo vedere, dovuti a un pugno rabbioso.
Anche nei secondi abbondava il sugo, il sale e l’olio. Nonna cucinava un ottimo pollo alla cacciatora, le canocchie con il sugo, le seppie con i piselli. Tutti, tranne me, amavano l’osso buco; io invece impazzivo per le costolette d’agnello fritte. Invece la pizza usava meno, da noi. A volte nonna comprava il preparato Catarì, e le riusciva benissimo. Come tutto il resto, poi.
Finito il primo e il secondo, nonna sfoderava i formaggi e i salumi, rigorosamente di maiale.
Come dolce, si andava da Fiorentini a Porta Imolese a prendere un vassoio di pasticcini, che diventava sempre più piccolo man mano che i debiti crescevano.
La frutta non esisteva, a parte il cocomero.
A colazione un bombolone alla crema preso al bar Guido, e prima di andare a letto una tazza di latte bollente.
Mangiavamo come fossimo contadini a cui servono energie per stare dodici ore nel campo. E dire che eravamo tutti secchi secchi.
Le nostre infanzie dell'entroterra
RispondiElimina, cara mia
Cavolo, potrei scriverne per tutta la vita.
EliminaSecondo me dovresti farlo. Questi ricordi di qualcosa che non esiste più sono meravigliosi, vanno conservati e condivisi! (Mia madre, classe 1963, ogni tanto racconta la sua infanzia povera e semplice nel Veneto, tra cassette di patate e mele, pollo solo alla domenica, e scarpe che passavano tra cugini e amici per anni, prima di rompersi definitivamente. E' una cosa che mi affascina da impazzire).
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RispondiEliminaSono nata esattamente dieci anni prima. Sono nata al mare in un posto che - prima del boom economico- non era che un povero borgo di pescatori,la maggior parte dei quali analfabeti ed alcolizzati. Io stessa discendo da una stirpe di marinai. Ma tante cose sono uguali...
RispondiEliminaGrazie di questo struggente tuffo nel passato,Valentina.
Purtroppo l'alcol è una piaga delle periferie, anche dell'entroterra culturale. Un abbraccio.
EliminaCavoli, il commento sull'alcoolismo mi riporta a mio nonno che viveva in un paesino sperduto sulle Alpi: tutti lavoravano durissimo fin dalle 4 del mattino per accudire le bestie e badare ai prati e alle coltivazioni ma alla domenica non c'erano santi, gli uomini del paese si trovavano all'osteria dopo pranzo e tornavanoa casa la sera ubriachi marci, ma così marci che a volte li dovevano riportare a casa le mogli oppure venivano ritrovati in un fosso in parte alla strada; ora che ci ripenso anche a tavola i fiaschi di vino giravano velocemente ma per me bambina era normale, gli adulti bevono il vino...
RispondiEliminaCiao
Betty
La tua nonna doveva essere una magnifica donna!Mi hai commosso con questo post!
RispondiEliminaNo veramente, riunisci tutti i tuoi post e ciò che non hai ancora raccontato in un corpus unico. Adoro questi racconti. Purtroppo mio padre, nato a Napoli durante un bombardamento se ricordo bene e ultimo di 8 figli, non racconta mai nulla di come vivesse e neanche il mio ex suocero, ultimo di 9 figli sperduti nella campagna sabina. E non mi perdono di non aver scritto la storia del mio ramo materno, però mi sono rimaste le lettere di mio nonno, appuntato comandato a Lubiana durante la guerra, a mia nonna che faceva la fame a Trani. Dai dai, ti aspettiamo in cerchio intorno al camino!
RispondiEliminaSì, ti aspettiamo. Questi ricordi di un mondo sfocato, che non esiste più, sono semplicemente stupendi. Grazie per avermi fatto venire in mente un bel ricordo mia nonna... Era una vita che non sentivo la parola "forma" per indicare il parmigiano... Lei è stata l'ultima che lo chiamava così.... Noi non usiamo più questo termine....
RispondiEliminaGrazie per il post, una fotografia dal passato originale e interessante.
RispondiEliminaUn saluto,
EM
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RispondiEliminaCiao Vale, ti leggo da diversi anni ed è la seconda volta che commento.
RispondiEliminaScrivi benissimo. Hai due anni meno della mia figlia maggiore, dunque ho un'età distante dalla tua, ma i tuoi racconti hanno risvegliato in me dei ricordi, peraltro
tuttora nitidissimi. Io sono nata e cresciuta a Milano, ma i miei genitori erano entrambi di un paesino a cavallo tra Romagna e Marche e io passavo lunghi mesi d'estate dai miei nonni. Mi sono ritrovata nelle tue descrizioni e mi sono emozionata. Grazie.