"Guarda che la parità voi donne l'avete raggiunta da un pezzo, tu guadagni più di me!"
"Siamo noi uomini che siamo discriminati semmai"
"Non mi piacciono le femministe, odiano gli uomini"
Quasi ogni volta che faccio la cazzata di pronunciare il termine "femminismo" con un maschio eterosessuale, la reazione può essere 1) totale disinteresse per l'argomento, 2) proclamazione di orgoglio maschilista, 3) nel caso peggiore: dissertazione sulle presunte discriminazioni subite dal suo genere che tradiscono la sua totale inconsapevolezza e mancanza di preparazione sull'argomento.
Dacci oggi il nostro mansplaining quotidiano, insomma.
Ecco alcuni dei motivi per cui mi sento spesso (non necessariamente dagli uomini, ma dal sistema) discriminata per il mio genere e, pur trovandomi a mio agio con il mio corpo e con la sessualità, ci sono situazioni in cui vorrei solamente essere gender free.
- Pur non essendo nata in una famiglia particolarmente maschilista né tantomeno tradizionalista, sono cresciuta con il condizionamento sociale che il mio corpo fosse conturbante indipendentemente dalle mie intenzioni, e dunque andava coperto. Ad esempio quando eravamo piccoli, mio fratello poteva giocare in cortile a petto nudo e io no: la cosa mi faceva infuriare. D'altronde ricevevo anche il messaggio contrario, ovvero che essere scoperta mi rendeva più attraente e quindi più degna di esistere. Tuttora, la moda prevede per le ragazze pantaloncini inguinali che però a scuola non si possono mettere; per i maschi sono previsti comodi bermuda che non li mettono mai in condizione di essere tacciati di esibizionismo, indecenza, inappropriatezza. Ricordo che quando le bimbe erano piccole, d'estate, visitammo un monastero. Io avevo messo appositamente dei pantaloni lunghi; a loro, all'ingresso, fu fatto indossare un pareo per coprire le gambe. Avevano una decina di anni e mi chiesero perché: mi rifiutai di dire loro che le loro gambe di bambine erano provocanti, e dissi che si trattava di "regole della casa" da pervertiti. Lo stile ideale di una donna varia dallo scopabile senza esagerare al sobrio ma con una punta di malizia. Noi donne occidentali saremmo anche libere, ma se metto tuta al lavoro, jeans e maglietta in discoteca e pigiama a casa, posso scommetterci che verrò tacciata di sciatteria. Chissà se sono libera di mettere un bel chador in testa. Mi sa di no. Ah, questi islamici misogini che impongono dress code così angusti!
- Il corpo che mi porto dietro è dunque da considerarsi un bene pubblico su cui la collettività deve per forza esprimersi. Se un uomo addirittura prende confidenza, non è affatto raro che si senta in diritto di fare commenti sulla distanza delle mie forme dal suo ideale estetico. Tipicamente il commento è: tette troppo piccole, culo troppo grosso. Io non mi sono mai sognata di commentare allo stesso modo il corpo di un uomo. Dire a un uomo che ha il cazzo piccolo credo sia considerato un peccato mortale, mentre chiunque, ma proprio chiunque, anche un passante, si sente libero di dire a una donna che cosa ne pensa del suo seno. Una donna può essere chiamata con il nome del suo sesso ("la gnocca"); se io mi riferissi a un uomo per strada chiamandolo "bel cazzo", bè, neanche riesco a formulare il pensiero per quanto sarebbe insolito.
- Non parliamo poi dell'inappropriatezza del ciclo mestruale. Alcuni uomini sono terrorizzati al pensiero delle mestruazioni, come ci rendessero sporche. Posso capire il senso del pudore, però se il pensiero che una donna è mestruata provoca ribrezzo, semplicemente non si è attratti dalle donne: niente di grave, basta ammetterlo. Questo non toglie che sarebbe bello se la società se ne facesse una ragione. Basta anche con il sangue blu delle pubblicità e con le perifrasi pudiche. Si chiamano m e s t r u a z i o n i, non "quei giorni".
E poi la cacca? Giuro che per quasi tre anni ho frequentato un uomo che mi ha chiesto espressamente di non contraddire la sua convinzione secondo cui le donne non farebbero la cacca. Visto che non ci vediamo da più di un anno, ogni tanto ho voglia di mandargli un messaggio rivelandogli che io la faccio.
E poi la cacca? Giuro che per quasi tre anni ho frequentato un uomo che mi ha chiesto espressamente di non contraddire la sua convinzione secondo cui le donne non farebbero la cacca. Visto che non ci vediamo da più di un anno, ogni tanto ho voglia di mandargli un messaggio rivelandogli che io la faccio.
- Il mio non essere del tutto a mio agio con il mio genere mi ha portato, sin da bambina, a detestare ogni attività considerata da donna. Tuttavia mi sono cresciuta da sola, e sono abituata da moltissimi anni a fare i lavori di casa e anche a cucinare. I risultati non sono brillanti ma nessuna delle mie tre figlie è morta di fame. Ebbene, qualunque uomo sappia mettere assieme una pasta e un sugo pronto Star, si dichiara mastro cuciniere e si ritiene in diritto di sfoderare condiscendenza mista ad auto-esaltazione quando rivelo che cucinare mi annoia.
- Quando fai un colloqui ti chiedono se hai intenzione di fare figli o come intendi gestire quelli che hai già (naturalmente al padre dei tuoi figli non lo chiedono); le neomamme vengono spesso demansionate; per gli uomini praticamente non è previsto il congedo di paternità: ne ha parlato chiunque e non ho niente da aggiungere. I pari diritti sul lavoro sono spesso contemplati solo per le donne senza figli, e generalmente solo per i ruoli subalterni. E anche nei gruppi whatsapp della scuola, sarà un caso ma io mi sono sempre ritrovata in mezzo alle mamme, con qualche sparuto papà (un'eccezione: un paio di volte mi è capitato di aspettare mia figlia fuori dalla sede degli scout in orari quasi notturni e in quei casi mi sono ritrovata con i babbi. La spiegazione è facile: per le donne non è sicuro stare per strada di notte). Insomma, i figli sono miei e me li gestisco io, eppure ogni e dico ogni volta che compilo un modulo per le mie figlie, le prime generalità che devo inserire sono sempre quelle del padre, che peraltro è anche quello che dà il cognome ai figli. Dunque i figli sono considerati dalla società cazzi esclusivamente miei, e però mi relega sempre al ruolo di genitore secondario. Formalità? Sì, ma no.
Questi sono solo alcuni dei motivi più banali e più comuni per cui dovremmo essere tutt* femminist* (cit); anche se noi donne occidentali non abbiamo l'obbligo del burqa, se facciamo le operaie guadagniamo come i nostri colleghi maschi, e ormai tutti ci riconoscono il diritto di non essere picchiate o violentate.
Sono in ufficio con due colleghi maschi e una collega donna. Arriva il capo accompagnato da un pezzo grosso di un'altra azienda e ce lo presenta. Il pezzo grosso, rivolgendosi a me e alla mia collega, esclama "oltre ad essere preparate e competenti sono due gran belle ragazze!". Sicuramente pensava di fare un complimento, ma fatico a immaginare la stessa frase rivolta a uno dei colleghi maschi...
RispondiEliminaUna volta ho assistito a questa scena in cui una donna che doveva fare una presentazione commerciale veniva introdotta ai clienti come "la bellissima XXX", manco fosse una velina invece che una professionista. E credo che tutti gli astanti, compresa lei, abbiano considerato quell'esternazione un complimento. Io allibita.
Elimina"Ormai tutti ci riconoscono il diritto di non essere picchiate o violentate" Ho il mio dubbio anche su questo purtroppo. C'è ancora molta strada da fare
RispondiEliminaQuello che volevo dire in realtà è che se riduciamo la causa alla violenza sulle donne, va a finire che a tutte coloro che non vengono picchiate viene detto che hanno raggiunto la parità.
Eliminaeppure io sono convinto che esista effettiva parità tra uomo e donna. al netto delle differenze di genere che nel lavoro e nel modo di lavorare non si possono sottovalutare
RispondiEliminaNon sono d'accordo. Forse c'è parità in certi ambiti, in certe coppie, in certe aziende, ma no, non è una regola, non in Italia.
EliminaIo penso che la parità nonnci sia perché non è quello che le femministe vogliono. Sono convinta che la maggior parte di loro, mentre diicono "parità" intendano invece totale uguaglianza (sbagliata ed impossibile) quando non addirittura superiorità.
RispondiEliminaQuel che penso del femminismo lo sai già credo, come la mia opinione su gran parte dei punti che hai elencato.
Ma no, non credo che le femministe vogliano l'uguaglianza: dai movimenti degli anni '70 in poi si è sempre messo tanto l'accento sulla differenza. I femminismi poi sono più d'uno. Io personalmente non ho mai incontrato un gruppo o un'associazione con intenti politici nella quale mi riconoscessi pienamente, quindi anche io volendo sono estranea al dibattito delle "femministe", eppure mi sono sempre ritenuta femminista. Ognuno ha la sua visione, ma mi pare evidente che un problema c'è e credo che il femminismo in fondo sia questo: riconoscere che c'è un problema.
EliminaDell'accordo su tutto.
RispondiEliminaSiamo ancora bene lontane dalla parità. Del femminismo oggi c'è più che mai bisogno. Ma di un femminismo militante e informativo di cui, in questo periodo di torpore delle coscienze e amnesia della lotta sociale, non vedo grandi possibilità di sviluppo se non tra i giovani e, soprattutto, le giovani.
C'è grande diffidenza e mancanza di informazione riguardo i movimenti femministi. I più si limitano a riconoscerne il valore storico ma prendono le distanze da quello che reputano un integralismo (ormai) superfluo se non dannoso, o almeno ridicolo. Invece non è così, e di un integralismo di pensiero c'è bisogno per cambiare le strutture mentali della società. Solo che è davvero difficile accettare e riconoscere di essere parte di quel sistema di pensiero viziato e prendere coscienza della necessità di scardinare per prime le proprie abitudini e consuetudini. A cominciare dal linguaggio. Sono lieta che però ci sia ancora chi rivendica pubblicamente e senza reticenze il proprio credo femminista.