Spesso nella vita mi è capitato di ragionare, da sola o con altri, sulla presunta componente maschile o femminile della nostra personalità, e ci ho sempre ragionato un po’ “a sentimento”, pur cercando di non cadere nello stereotipo.
Per esempio, pensando alle mie amicizie maschili e femminili, mi viene spontaneo associare la tendenza alla complessità alle donne: a volte con le mie amiche faccio dei ragionamenti avvincenti e complessi sui sentimenti, le relazioni, la vita eccetera eccetera, mentre se passo del tempo con un maschio, SE ci si butta in una discussione "importante" si rimane sul piano dei massimi sistemi (ad esempio si può parlare di politica), emotivamente meno impegnativi. Credo che questo derivi dallo sdoganamento del privato da parte delle sorelle dei collettivi negli anni settanta.
Io stessa comunque sono la complicazione fatta a persona: mi muovo bene nell’anomia, dove non c’è la creo.
Provate a chiedermi via chat “Dove ci vediamo?” e assisterete a thread dove parlo da sola per ore: “facciamo a metà strada”, “no, ma aspetta, se passo di lì trovo traffico”, “ma se ci vediamo di là potresti trovare traffico tu”, “forse dovremmo vederci giovedì, invece che stasera”, “e comunque il giovedì è in mezzo alla settimana, preferisco uscire di venerdì, no aspetta, il venerdì vado a letto presto così mi godo il sabato mattina senza bimbe”, “ti prego prendi la situazione in mano e dimmi tu dove ci vediamo e a che ora”.
Al contrario, ho spesso considerato una caratteristica “maschile” la mia capacità di arrangiarmi e di non essere “needy”. Ma siamo sicuri che essere “needy” sia una caratteristica femminile? Mi sa di no. E se anche lo fosse, lo sarebbe per natura o per educazione/ cultura?
Fino a qualche anno fa, avevo una visione degli uomini diversa da quella che ho ora. Tanto per cominciare ne frequentavo meno: se la mia infanzia e adolescenza sono state caratterizzate dalla pesante presenza di donne forti (ad esempio mamma) e quasi solo amiche femmine, oltre che una gravidanza a fare la stagista universitaria al Centro di Documentazione delle Donne, da adulta mi sono ritrovata a lavorare prevalentemente con uomini e anche ad avere amicizie non superficiali con diversi maschi. Seconda cosa: anni di psicoterapia mi hanno reso una persona leggermente più risolta, specie nei confronti di mio padre, e forse anche questo c’entra. Inoltre negli ultimi anni, da quando le persone trans hanno cominciato, finalmente, a pretendere di essere prese in considerazione, la questione del genere di una persona nella mia testa è diventata così tanto sfaccettata che “maschio” e “femmina” diventano due concetti sempre più sfumati, forse quasi insignificanti.
In definitiva, mi capita sempre più spesso di mettere in discussione, nella mia testa il fatto che certe caratteristiche siano squisitamente maschili o femminili. E un sacco di volte, ditemi se capita anche a voi o se sono fuori di testa, quando mi definisco, mi pesa sessualizzarmi. Ad esempio, se sono sul lavoro e dico, che ne so, “sono pronta”, “sono stanca”, mi piacerebbe non essere sessualizzata in quello specifico contesto, essere solo “stanc*”.
Filosofia a parte, mi sono chiesta cos’è che invece mi fa sentire definitivamente una donna, quindi con caratteristiche che mi accomunano alle altre donne e mi rendono diversa dagli uomini.
E mi sono data due risposte, suppongo super personali.
La prima: il corpo. Partorire è stata l’esperienza più incredibile della mia vita. La gravidanza, l’allattamento, le mestruazioni, un giorno la menopausa. Spesso mi capita di essere in balia del mio umore e anche dei miei sbalzi d’umore, persino l'odore del mio sudore è diverso al seconda del momento del mese. Se ho mal di testa un certo giorno del mese so perché; se sono di ottimo umore, probabilmente sto ovulando.
E seconda cosa, sono stata cresciuta come una femmina. Mia madre è femminista ma non lo sa e di mio padre ricordo solo la mancanza, ma chi mi ha "educata" sono stati soprattutto i miei nonni in un contesto certamente maschilista, che è quello dell’Italia degli anni ’80, in una famiglia a bassissima scolarizzazione. Mio nonno materno, che per me era un padre, mi ricordava sempre “non importa che pensi”, e pochi giorni prima di morire mi chiese a che diavolo mi serviva la patente. Mia nonna stessa era depressa e succube della famiglia in quanto casalinga. Il loro esempio ha generato in me, da un lato, un istintivo rifiuto per quello che è considerato appannaggio “femminile” (tipo so cucinare decentemente ma racconto in giro che non so cucinare; non mi dispiace riordinare casa ma racconto in giro che non riordino), ma anche un bagaglio di "insegnamenti" che difficilmente si contestano, come l’abitudine a sedersi a gambe chiuse, la pudicizia per paura di essere giudicata, oppure se vogliamo anche l’interiorizzazione di alcune delle minchiate che ho sentito passare in tv, nelle canzoni, al cinema, che “normalizzano” l’aggressività nei rapporti tra uomini e donne (“prendi una donna, trattala male”), la denigrazione nei confronti di qualunque corpo femminile considerato non scopabile (magari perché lei ha superato i cinquanta, tanto che invece è stato coniato un acronimo per quelle che, nonostante l’età, sono ancora scopabili: MILF) o viceversa, la considerazione della bellezza come unica qualità utile alle donne; o la d'attribuzione di certe caratteristiche come la pazienza o la cura, che non ci appartengono per natura (“abbiamo donne pazienti rassegnate ai nostri guai”, ma anche no). Insomma, i vari Amadeus fraintesi in cui mi sono imbattuta, hanno inciso sulla mia percezione del mio corpo e del mio ruolo, e ricostruire tutto non è stato e non è facile per un cazzo, devi mettere i tappi per le orecchie e un paraocchi e ascoltare solo te stessa, e magari ti rispondi anche che non ti va di essere sempre una donna, a volte si potrebbe essere anche solo delle persone.
Per esempio, pensando alle mie amicizie maschili e femminili, mi viene spontaneo associare la tendenza alla complessità alle donne: a volte con le mie amiche faccio dei ragionamenti avvincenti e complessi sui sentimenti, le relazioni, la vita eccetera eccetera, mentre se passo del tempo con un maschio, SE ci si butta in una discussione "importante" si rimane sul piano dei massimi sistemi (ad esempio si può parlare di politica), emotivamente meno impegnativi. Credo che questo derivi dallo sdoganamento del privato da parte delle sorelle dei collettivi negli anni settanta.
Io stessa comunque sono la complicazione fatta a persona: mi muovo bene nell’anomia, dove non c’è la creo.
Provate a chiedermi via chat “Dove ci vediamo?” e assisterete a thread dove parlo da sola per ore: “facciamo a metà strada”, “no, ma aspetta, se passo di lì trovo traffico”, “ma se ci vediamo di là potresti trovare traffico tu”, “forse dovremmo vederci giovedì, invece che stasera”, “e comunque il giovedì è in mezzo alla settimana, preferisco uscire di venerdì, no aspetta, il venerdì vado a letto presto così mi godo il sabato mattina senza bimbe”, “ti prego prendi la situazione in mano e dimmi tu dove ci vediamo e a che ora”.
Al contrario, ho spesso considerato una caratteristica “maschile” la mia capacità di arrangiarmi e di non essere “needy”. Ma siamo sicuri che essere “needy” sia una caratteristica femminile? Mi sa di no. E se anche lo fosse, lo sarebbe per natura o per educazione/ cultura?
Fino a qualche anno fa, avevo una visione degli uomini diversa da quella che ho ora. Tanto per cominciare ne frequentavo meno: se la mia infanzia e adolescenza sono state caratterizzate dalla pesante presenza di donne forti (ad esempio mamma) e quasi solo amiche femmine, oltre che una gravidanza a fare la stagista universitaria al Centro di Documentazione delle Donne, da adulta mi sono ritrovata a lavorare prevalentemente con uomini e anche ad avere amicizie non superficiali con diversi maschi. Seconda cosa: anni di psicoterapia mi hanno reso una persona leggermente più risolta, specie nei confronti di mio padre, e forse anche questo c’entra. Inoltre negli ultimi anni, da quando le persone trans hanno cominciato, finalmente, a pretendere di essere prese in considerazione, la questione del genere di una persona nella mia testa è diventata così tanto sfaccettata che “maschio” e “femmina” diventano due concetti sempre più sfumati, forse quasi insignificanti.
In definitiva, mi capita sempre più spesso di mettere in discussione, nella mia testa il fatto che certe caratteristiche siano squisitamente maschili o femminili. E un sacco di volte, ditemi se capita anche a voi o se sono fuori di testa, quando mi definisco, mi pesa sessualizzarmi. Ad esempio, se sono sul lavoro e dico, che ne so, “sono pronta”, “sono stanca”, mi piacerebbe non essere sessualizzata in quello specifico contesto, essere solo “stanc*”.
Filosofia a parte, mi sono chiesta cos’è che invece mi fa sentire definitivamente una donna, quindi con caratteristiche che mi accomunano alle altre donne e mi rendono diversa dagli uomini.
E mi sono data due risposte, suppongo super personali.
La prima: il corpo. Partorire è stata l’esperienza più incredibile della mia vita. La gravidanza, l’allattamento, le mestruazioni, un giorno la menopausa. Spesso mi capita di essere in balia del mio umore e anche dei miei sbalzi d’umore, persino l'odore del mio sudore è diverso al seconda del momento del mese. Se ho mal di testa un certo giorno del mese so perché; se sono di ottimo umore, probabilmente sto ovulando.
E seconda cosa, sono stata cresciuta come una femmina. Mia madre è femminista ma non lo sa e di mio padre ricordo solo la mancanza, ma chi mi ha "educata" sono stati soprattutto i miei nonni in un contesto certamente maschilista, che è quello dell’Italia degli anni ’80, in una famiglia a bassissima scolarizzazione. Mio nonno materno, che per me era un padre, mi ricordava sempre “non importa che pensi”, e pochi giorni prima di morire mi chiese a che diavolo mi serviva la patente. Mia nonna stessa era depressa e succube della famiglia in quanto casalinga. Il loro esempio ha generato in me, da un lato, un istintivo rifiuto per quello che è considerato appannaggio “femminile” (tipo so cucinare decentemente ma racconto in giro che non so cucinare; non mi dispiace riordinare casa ma racconto in giro che non riordino), ma anche un bagaglio di "insegnamenti" che difficilmente si contestano, come l’abitudine a sedersi a gambe chiuse, la pudicizia per paura di essere giudicata, oppure se vogliamo anche l’interiorizzazione di alcune delle minchiate che ho sentito passare in tv, nelle canzoni, al cinema, che “normalizzano” l’aggressività nei rapporti tra uomini e donne (“prendi una donna, trattala male”), la denigrazione nei confronti di qualunque corpo femminile considerato non scopabile (magari perché lei ha superato i cinquanta, tanto che invece è stato coniato un acronimo per quelle che, nonostante l’età, sono ancora scopabili: MILF) o viceversa, la considerazione della bellezza come unica qualità utile alle donne; o la d'attribuzione di certe caratteristiche come la pazienza o la cura, che non ci appartengono per natura (“abbiamo donne pazienti rassegnate ai nostri guai”, ma anche no). Insomma, i vari Amadeus fraintesi in cui mi sono imbattuta, hanno inciso sulla mia percezione del mio corpo e del mio ruolo, e ricostruire tutto non è stato e non è facile per un cazzo, devi mettere i tappi per le orecchie e un paraocchi e ascoltare solo te stessa, e magari ti rispondi anche che non ti va di essere sempre una donna, a volte si potrebbe essere anche solo delle persone.
Che fatica essere femmine!
RispondiEliminaDavvero! :)
EliminaSuper...null'altro da aggiungere! Sento anche io molto forte il bisogno di essere considerata semplicemente (si fa per dire) una persona, senza classificazioni di sesso, ruolo ed età!
RispondiEliminaAnche io ho sempre riflettuto sulle parole"abbiamo donne pazienti rassegnate ai nostri guai"' e, al contempo, su" brava Giulia, prenditi la vita che vuoi"'.
RispondiEliminaNon so perché, mi viene in mente Sally di Vasco. Se non ricordo male parla di quanto sia pesante essere sempre giudicate.
EliminaTi consiglio di approfondire la concezione taoistica dell'universo, visto come manifestazione di yin e yang, maschile e femminile. Sono solo due tipi di energia opposti, venere cede e accoglie, marte avanza e si impone, ognuno contiene entrambi anche se in proporzioni diverse e non legate al sesso fisico
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