L'Avana o La Habana è la versione edulcorata di quella che immagino essere una metropoli dell'America Latina.
Nonostante le poche auto, l'aria è mefitica; il caldo torrido; le botteghe affacciate sulle strade del centro, sporche e squallide; e gli habaneros con cui vi capiterà di interagire, nel migliore dei casi vorranno vendervi qualcosa, nel peggiore truffare o scroccare, per lo più in maniera creativa. Ad esempio a me è capitato di accettare una corsa in taxi da due tizi i quali il taxi non ce l'avevano, così che siamo andati a cercare un amico con la macchina (e l'amico non era particolarmente dell'idea).
Eppure c'è qualcosa in La Habana che la rende differente, specie se ve la gustate dopo un viaggetto di due settimane in giro per l'isola, dopo aver incamerato un' indolenza mutuata dal caldo, e con le retine ormai abituate ai colori caraibici e insensibili al pericolo di crollo.
Intanto l'aspetto: nella capitale cubana la globalizzazione non ha ancora avuto la meglio. Le strade sono un museo di Pontiac e Chevrolet. Forti dei loro creativi rattoppi, sfrecciano sull'asfalto come negli anni '50, quando Cuba era la depandance tropicale di gangster e giocatori d'azzardo statunitensi, prima che Castro, Che Guevara e compagni nazionalizzassero la rava e la fava, di proprietà americana.
E i palazzi pericolanti di Habana Vieja, scommettereste sulla vita di vostro figlio che sono pronti per la demolizione, prima di scorgere i panni stesi alle finestre.
Gli autobus sono rari, colmi ed emettono fumi neri.
Non vi sono praticamente negozi. Ci sono frutta e verdura, macellerie e caffetterie sbilenche, dove i cubani acquistano i generi di prima necessità in moneta nazionale, e pessimi ristoranti e negozietti di souvenir per turisti, spesso ricavati da androni nelle scale o da garage, dove si compra in moneta convertibile, a prezzi non dico europei ma quasi.
Ma basta avventurarsi fuori dalle vie principali, anche solo tra le calli del quartiere Vedado, ed ecco che le auto si diradano ulteriormente: le persone vanno a piedi. Fuori dai contesti urbani spesso si va a cavallo.
I cani vagabondano senza dare fastidio, a volte entrano al bar e si siedono, come vecchi avventori. E se dormite nelle casas particulares, cioè in case private diventate B&B per necessità, è probabile che verrete svegliati molto presto dai galli che, in cortile, gareggiano in gorgheggio.
La sensazione generale, a Cuba, è quella di essere al sicuro, nonostante i fili elettrici tenuti insieme dallo scotch, nonostante il rum sia la bevanda nazionale, nonostante il turista sia ricco, laddove gli autoctoni hanno solo il necessario.
La sensazione è stata che questo viaggio completamente improvvisato, senza itinerario e senza prenotazioni, con un bagaglio a mano e le mutande contate, fosse coerente con la spontaneità e l'improvvisazione cubane. Non ho mai dovuto nascondere i soldi che portavo con me; sono stata male, sono stata curata, e ho ricevuto degli antibiotici. Certo, per entrare nell'ambulatorio ormai dovevo prendere a spallate la porta arrugginita.
Non ho mai pianto, proprio io, che incasso nello stomaco la povertà altrui.
Ho ricevuto forme di socializzazione magari invadenti e interessate, ma non le profferte di sesso che tutti dicono, e sono abbastanza certa che chi torna da un viaggio millantando bellissime cubane ninfomani, ha solo pagato: magari ha speso meno che in Italia, certamente ha beneficiato di una visione del corpo più spontanea e meno bigotta e magari il molto rum circolante ha favorito le interazioni, ma chiamarla ninfomania è sopravvalutarsi.
Non so se la mia sicurezza sia stata garantita dai poliziotti per le strade, o da quella particolare pubblicità che viene chiamata propaganda.
Ho voluto credere che il segreto della mancanza di vero degrado - dove per degrado non intendo le case che cadono, ma i vecchi che frugano nel bidone della spazzatura, o le bambine che si prostituiscono - risiedesse nelle migliaia di ragazzini in divisa scolastica o dediti allo sport in campetti decadenti. Nei policlinici scrostati presenti anche nelle piccole realtà rurali (oltre alla canna da zucchero Cuba esporta medici in tutta l'America Latina). Nella cultura, certo, promossa da un governo non democraticamente eletto, ma alla portata di tutti. Nella possibilità davvero diffusa di fare arte, musica, sport, ballo. Anche in mancanza di negozi e centri commerciali. Anche in mancanza della scelta di gusti quando prendi il gelato. Anche in mancanza di comfort e di una scelta davvero premium per i turisti con i soldi - a meno che non si accontentino dei resort a Varadero. Anche in mancanza dell'internet, di cui non ho avvertito molto la necessità - certo, non mi mancava perché non stavo lavorando.
Poi lo so lo so, che mancano anche molti diritti civili; lo so lo so che Reinaldo Arenas insegna che c'erano i campi di rieducazione per gli omosessuali; lo so lo so che Yoani Sanchez parla di mercato nero e di burocrazia asfissiante e di slanci soffocati; lo so lo so di Cabrera Infante e dell'Havana per un infante defunto; lo so lo so che quella che ho visto io non era la povertà di quando l'embargo era duro e mancavano le medicine e il dentifricio e i turisti scarseggiavano; lo so lo so che l'ambizione del singolo e tutto ciò che di bello ne consegue, sono messi a tacere da un invadente governo - padre - padrone.
Io però sono stata felice di visitare questo sistema unico e imperfetto ma possibile, e sono felice di averlo potuto fare in un momento di non estrema povertà, e di turismo sdoganato e dunque non completamente al di fuori della mia comfort zone.
Di essere stata per quasi due settimane fuori dalla paranoid zone occidentale.
O forse sono andata solo per sentirmi dire, sulla vita, quello che volevo sentirmi dire.
Nonostante le poche auto, l'aria è mefitica; il caldo torrido; le botteghe affacciate sulle strade del centro, sporche e squallide; e gli habaneros con cui vi capiterà di interagire, nel migliore dei casi vorranno vendervi qualcosa, nel peggiore truffare o scroccare, per lo più in maniera creativa. Ad esempio a me è capitato di accettare una corsa in taxi da due tizi i quali il taxi non ce l'avevano, così che siamo andati a cercare un amico con la macchina (e l'amico non era particolarmente dell'idea).
Intanto l'aspetto: nella capitale cubana la globalizzazione non ha ancora avuto la meglio. Le strade sono un museo di Pontiac e Chevrolet. Forti dei loro creativi rattoppi, sfrecciano sull'asfalto come negli anni '50, quando Cuba era la depandance tropicale di gangster e giocatori d'azzardo statunitensi, prima che Castro, Che Guevara e compagni nazionalizzassero la rava e la fava, di proprietà americana.
E i palazzi pericolanti di Habana Vieja, scommettereste sulla vita di vostro figlio che sono pronti per la demolizione, prima di scorgere i panni stesi alle finestre.
Gli autobus sono rari, colmi ed emettono fumi neri.
Non vi sono praticamente negozi. Ci sono frutta e verdura, macellerie e caffetterie sbilenche, dove i cubani acquistano i generi di prima necessità in moneta nazionale, e pessimi ristoranti e negozietti di souvenir per turisti, spesso ricavati da androni nelle scale o da garage, dove si compra in moneta convertibile, a prezzi non dico europei ma quasi.
Ma basta avventurarsi fuori dalle vie principali, anche solo tra le calli del quartiere Vedado, ed ecco che le auto si diradano ulteriormente: le persone vanno a piedi. Fuori dai contesti urbani spesso si va a cavallo.
I cani vagabondano senza dare fastidio, a volte entrano al bar e si siedono, come vecchi avventori. E se dormite nelle casas particulares, cioè in case private diventate B&B per necessità, è probabile che verrete svegliati molto presto dai galli che, in cortile, gareggiano in gorgheggio.
La sensazione generale, a Cuba, è quella di essere al sicuro, nonostante i fili elettrici tenuti insieme dallo scotch, nonostante il rum sia la bevanda nazionale, nonostante il turista sia ricco, laddove gli autoctoni hanno solo il necessario.
La sensazione è stata che questo viaggio completamente improvvisato, senza itinerario e senza prenotazioni, con un bagaglio a mano e le mutande contate, fosse coerente con la spontaneità e l'improvvisazione cubane. Non ho mai dovuto nascondere i soldi che portavo con me; sono stata male, sono stata curata, e ho ricevuto degli antibiotici. Certo, per entrare nell'ambulatorio ormai dovevo prendere a spallate la porta arrugginita.
Non ho mai pianto, proprio io, che incasso nello stomaco la povertà altrui.
Ho ricevuto forme di socializzazione magari invadenti e interessate, ma non le profferte di sesso che tutti dicono, e sono abbastanza certa che chi torna da un viaggio millantando bellissime cubane ninfomani, ha solo pagato: magari ha speso meno che in Italia, certamente ha beneficiato di una visione del corpo più spontanea e meno bigotta e magari il molto rum circolante ha favorito le interazioni, ma chiamarla ninfomania è sopravvalutarsi.
Non so se la mia sicurezza sia stata garantita dai poliziotti per le strade, o da quella particolare pubblicità che viene chiamata propaganda.
Ho voluto credere che il segreto della mancanza di vero degrado - dove per degrado non intendo le case che cadono, ma i vecchi che frugano nel bidone della spazzatura, o le bambine che si prostituiscono - risiedesse nelle migliaia di ragazzini in divisa scolastica o dediti allo sport in campetti decadenti. Nei policlinici scrostati presenti anche nelle piccole realtà rurali (oltre alla canna da zucchero Cuba esporta medici in tutta l'America Latina). Nella cultura, certo, promossa da un governo non democraticamente eletto, ma alla portata di tutti. Nella possibilità davvero diffusa di fare arte, musica, sport, ballo. Anche in mancanza di negozi e centri commerciali. Anche in mancanza della scelta di gusti quando prendi il gelato. Anche in mancanza di comfort e di una scelta davvero premium per i turisti con i soldi - a meno che non si accontentino dei resort a Varadero. Anche in mancanza dell'internet, di cui non ho avvertito molto la necessità - certo, non mi mancava perché non stavo lavorando.
Poi lo so lo so, che mancano anche molti diritti civili; lo so lo so che Reinaldo Arenas insegna che c'erano i campi di rieducazione per gli omosessuali; lo so lo so che Yoani Sanchez parla di mercato nero e di burocrazia asfissiante e di slanci soffocati; lo so lo so di Cabrera Infante e dell'Havana per un infante defunto; lo so lo so che quella che ho visto io non era la povertà di quando l'embargo era duro e mancavano le medicine e il dentifricio e i turisti scarseggiavano; lo so lo so che l'ambizione del singolo e tutto ciò che di bello ne consegue, sono messi a tacere da un invadente governo - padre - padrone.
Io però sono stata felice di visitare questo sistema unico e imperfetto ma possibile, e sono felice di averlo potuto fare in un momento di non estrema povertà, e di turismo sdoganato e dunque non completamente al di fuori della mia comfort zone.
Di essere stata per quasi due settimane fuori dalla paranoid zone occidentale.
O forse sono andata solo per sentirmi dire, sulla vita, quello che volevo sentirmi dire.
Ho iniziato a leggere velocemente e distrattamente la tua "recensione" su l'Havana ma man mano che andavo avanti hai riacceso in me l'emozione di un viaggio coclusosi due settimane fa. Dopo averlo tanto desiderato e immaginato, con la mia famiglia siamo stati a Cuba e nella tua descrizione bellissima della vera essenza di questa terra e di questo popolo, ho ritrovato tutte le emozioni che ho portato via con me. Hai toccato in maniera "cruda" ma delicata tutto ciò che rende unici sia l'isola che il popolo cubano. Un popolo che in fatto di dignità ha tanto da insegnare a chi non riesce a cogliere la bellezza del loro saper vivere con poco senza perdere la bellezza di un sorriso che ho trovato sul viso di ognuno di loro.
RispondiEliminaSono cubana. Grazie mille Anna Maria.
RispondiEliminaBelli siete <3
EliminaFotografia perfetta, ineccepibile! Bazzico Cuba dal 1987 ed ho sposato praticamente la prima cubana ke ho conosciuto dopo solo un anno di fidanzamento. E ne sono tuttora felice dopo 30 anni. La "Cubania" é necessario viverla con i cubani..... caso contrario andiamo a Sanremo o a Rimini, dove c'é tutto. A Cuba c'é quasi niente ti offrono solo tanti sorrisi, il poco che hanno che contrabbandano con qualche malvagitá facili per lo piú da intuire e quando scoperti ti sorridono. Ciao a tutti gli amanti di Cuba da Francesco.
RispondiEliminaGrazie Francesco :)
EliminaD'accordo con te, non c'è bisogno di volare fino a Cuba per chiudersi in un resort.
Fotografia perfetta, ineccepibile! Bazzico Cuba dal 1987 ed ho sposato praticamente la prima cubana ke ho conosciuto dopo solo un anno di fidanzamento. E ne sono tuttora felice dopo 30 anni. La "Cubania" é necessario viverla con i cubani..... caso contrario andiamo a Sanremo o a Rimini, dove c'é tutto. A Cuba c'é quasi niente ti offrono solo tanti sorrisi, il poco che hanno che contrabbandano con qualche malvagitá facili per lo piú da intuire e quando scoperti ti sorridono. Ciao a tutti gli amanti di Cuba da Francesco.
RispondiEliminaFotografia perfetta, ineccepibile! Bazzico Cuba dal 1987 ed ho sposato praticamente la prima cubana ke ho conosciuto dopo solo un anno di fidanzamento. E ne sono tuttora felice dopo 30 anni. La "Cubania" é necessario viverla con i cubani..... caso contrario andiamo a Sanremo o a Rimini, dove c'é tutto. A Cuba c'é quasi niente ti offrono solo tanti sorrisi, il poco che hanno che contrabbandano con qualche malvagitá facili per lo piú da intuire e quando scoperti ti sorridono. Ciao a tutti gli amanti di Cuba da Francesco.
RispondiEliminaFotografia perfetta, ineccepibile! Bazzico Cuba dal 1987 ed ho sposato praticamente la prima cubana ke ho conosciuto dopo solo un anno di fidanzamento. E ne sono tuttora felice dopo 30 anni. La "Cubania" é necessario viverla con i cubani..... caso contrario andiamo a Sanremo o a Rimini, dove c'é tutto. A Cuba c'é quasi niente ti offrono solo tanti sorrisi, il poco che hanno che contrabbandano con qualche malvagitá facili per lo piú da intuire e quando scoperti ti sorridono. Ciao a tutti gli amanti di Cuba da Francesco.
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