Lo scorso weekend sono stata a Torino con le bimbe, a incontrare amici e amiche e a vedere la città, per quanto è concesso con almeno quattro bambini al seguito.
Negli ultimi anni, mi è capitato spesso di prenotare ostelli o appartamenti non in pieno centro, un po' perché come sapete pago per quattro e non sempre posso permettermi l'hotel, un po' perché è diventata parte integrante della mia esperienza di viaggio l'osservazione delle persone che vivono le città. I centri storici sono spesso posticci, a volte wannabe, mentre gli autobus e i terrazzi sono sempre veri.
Tipo visitando alcune città, come Lisbona, Berlino, Londra, Parigi, ho avuto l'impressione che i quartieri avessero una propria vita, piena di personalità e colori propri, una propria fioritura che si intravvedeva tra i palazzi, nei murales e nelle botteghe, nei profumi di cibo, nei bar, nelle musiche che si facevano per strada o che uscivano dalle finestre.
Questo non significa che non mi piace, quando per lavoro mi spediscono in un hotel con colazioni faraoniche: significa solo che l'hotel lo vivo come uno spostamento dal mio letto a un altro, mentre il viaggio, mi piace pensare che sia più complesso e arricchente.
In tre giorni a fare la spola tra il centro e il meno centro, non si capisce comunque qual è lo spirito di una città: se è reale o operaia, se è elegante oppure tamarra.
Torino non è tra le città che mi sono rimaste dentro, non l'ho capita, come non ho capito Milano, ma ci sta, mica che io debba capire tutto, i gusti sono gusti. Poi quello che non ho capito oggi magari lo capisco un'altra volta, in un'altra vita, un altro anno. E poi tre giorni che cosa sono?
Se le bimbe hanno adorato il museo egizio e dal parco del Valentino, io sono stata colpita dall'autobus numero 11.
Alloggiavamo in un ostello universitario: una costruzione industriale, un'ex fonderia, al nord della città. Abbastanza pulito, arredato in maniera vagamente futurista, tra i palazzi. Facevamo colazione sul tetto: piatto, come i tetti delle fabbriche.
Il nostro autobus andava dal nord al centro, ed era popolato, quando partivamo, da anziani (ne abbiamo interpellati un paio alla fermata ed erano originari del sud) e da stranieri: cingalesi, africani, qualche nord-africano, qualche cinese. Man mano che ci avvicinavamo al centro, la folla si diradava per poi estinguersi verso Porta Nuova.
Un mattina a metà viaggio salgono tre controllori. Gli stranieri si fiondano fuori dall'autobus, metà degli italiani con grande nonchalance estrae delle tasche un biglietto vergine e lo timbra. Un povero stronzo africano, che non è riuscito a uscire a causa del bambino seduto sulle ginocchia, viene multato.
Una sera sale un gruppo di ragazzini ancora piuttosto imberbi. Metà aveva probabilmente genitori stranieri. Erano vestiti e pettinati da "cattivi", parlavano volgari. Non erano molto diversi, se non per stile, e per età (erano probabilmente più piccoli) di quelli che, quando siamo tornate a casa, sono saliti a Bologna diretti a Rimini. Sigarette, turpiloquio, omologazione, tentativo di anticonformismo. Poi magari ti chiedono un'informazione e ti danno del lei, come se tu fossi la prof. Sono dolci, hanno solo paura.
Mi piace guardare le persone che salgono sui mezzi: mi chiedo sempre dove vanno, quando poi scendono, e dov'erano, prima di salire.
Succede così spesso (a me no, sto in provincia, utilizzo l'auto, di facce nuove ne vedo così poche) di condividere uno spazio piccolissimo, quasi fino a toccarsi, con persone di cui non sai nulla, se non che odore fanno, e mi chiedevo perché allora ogni volta trattengo il respiro.
Negli ultimi anni, mi è capitato spesso di prenotare ostelli o appartamenti non in pieno centro, un po' perché come sapete pago per quattro e non sempre posso permettermi l'hotel, un po' perché è diventata parte integrante della mia esperienza di viaggio l'osservazione delle persone che vivono le città. I centri storici sono spesso posticci, a volte wannabe, mentre gli autobus e i terrazzi sono sempre veri.
Tipo visitando alcune città, come Lisbona, Berlino, Londra, Parigi, ho avuto l'impressione che i quartieri avessero una propria vita, piena di personalità e colori propri, una propria fioritura che si intravvedeva tra i palazzi, nei murales e nelle botteghe, nei profumi di cibo, nei bar, nelle musiche che si facevano per strada o che uscivano dalle finestre.
Questo non significa che non mi piace, quando per lavoro mi spediscono in un hotel con colazioni faraoniche: significa solo che l'hotel lo vivo come uno spostamento dal mio letto a un altro, mentre il viaggio, mi piace pensare che sia più complesso e arricchente.
In tre giorni a fare la spola tra il centro e il meno centro, non si capisce comunque qual è lo spirito di una città: se è reale o operaia, se è elegante oppure tamarra.
Torino non è tra le città che mi sono rimaste dentro, non l'ho capita, come non ho capito Milano, ma ci sta, mica che io debba capire tutto, i gusti sono gusti. Poi quello che non ho capito oggi magari lo capisco un'altra volta, in un'altra vita, un altro anno. E poi tre giorni che cosa sono?
Se le bimbe hanno adorato il museo egizio e dal parco del Valentino, io sono stata colpita dall'autobus numero 11.
Alloggiavamo in un ostello universitario: una costruzione industriale, un'ex fonderia, al nord della città. Abbastanza pulito, arredato in maniera vagamente futurista, tra i palazzi. Facevamo colazione sul tetto: piatto, come i tetti delle fabbriche.
Il nostro autobus andava dal nord al centro, ed era popolato, quando partivamo, da anziani (ne abbiamo interpellati un paio alla fermata ed erano originari del sud) e da stranieri: cingalesi, africani, qualche nord-africano, qualche cinese. Man mano che ci avvicinavamo al centro, la folla si diradava per poi estinguersi verso Porta Nuova.
Un mattina a metà viaggio salgono tre controllori. Gli stranieri si fiondano fuori dall'autobus, metà degli italiani con grande nonchalance estrae delle tasche un biglietto vergine e lo timbra. Un povero stronzo africano, che non è riuscito a uscire a causa del bambino seduto sulle ginocchia, viene multato.
Una sera sale un gruppo di ragazzini ancora piuttosto imberbi. Metà aveva probabilmente genitori stranieri. Erano vestiti e pettinati da "cattivi", parlavano volgari. Non erano molto diversi, se non per stile, e per età (erano probabilmente più piccoli) di quelli che, quando siamo tornate a casa, sono saliti a Bologna diretti a Rimini. Sigarette, turpiloquio, omologazione, tentativo di anticonformismo. Poi magari ti chiedono un'informazione e ti danno del lei, come se tu fossi la prof. Sono dolci, hanno solo paura.
Mi piace guardare le persone che salgono sui mezzi: mi chiedo sempre dove vanno, quando poi scendono, e dov'erano, prima di salire.
Succede così spesso (a me no, sto in provincia, utilizzo l'auto, di facce nuove ne vedo così poche) di condividere uno spazio piccolissimo, quasi fino a toccarsi, con persone di cui non sai nulla, se non che odore fanno, e mi chiedevo perché allora ogni volta trattengo il respiro.
"Era capace di pensare alla poesia, quando avrebbe dovuto pensare al taffettà"
Mi ritrovo, anche io passo il tempo sui mezzi pubblici ad osservare le persone. Quest'estate andiamo a New York a casa di mia sorella e di ore sulla metro ne passerò tantissime perché abita in periferia. Ma saprò come non annoiarmi!
RispondiEliminaMi spiace che tu non abbia capito Milano. Io la adoro, mi mette sempre di buon umore e se non fosse per il traffico ci andrei più spesso. Ci sono sempre tante mostre ed iniziative e ogni volta che ci vado scopro un nuovo luogo che mi incanta.
Per esempio settimana scorsa sono uscita dalla stazione di Porta Garibaldi e mi sembrava di essere in un sogno... Grattacieli luminosi e stradine pedonali con antichi palazzi e gelsomino fiorito.
Una libreria spettacolore, una mostra World press photo 2015 gratuita...
Spero che avrai la possibilità di tornarci nel momento più giusto per amare anche Milano.
Forse è perché a Milano vado sempre per lavoro e vedo del gran vuoto...ma non pretendo che la mia esperienza sia universale, né rappresentativa, né esaustiva :)
EliminaTorino si fa scoprire poco a poco, ma riserva davvero molte sorprese. Io abito vicino al Valentino e non mi sposterei mai in nessun altro quartiere perché ognuno di essi ha una diversa personalità. La periferia è molto triste, per apprezzare la città dovresti muoverti anche la sera in centro e magari partecipare a qualche iniziativa come il jazz festiva con concerti gratuiti in piazza
RispondiEliminaPe, devo essermi spiegata male. Siamo stati sempre in centro, della periferia ho visto solo l'autobus. Ho notato che era tutto un festival, uno più interessante dell'altro (abbiamo anche tentato una puntata al jazz festival ma la prima volta ha cominciato a piovere, la seconda la mia bimba ha fatto un capricciaccio e non ci suamo divertiti). Solo, non è scattato l'amore come invece è scattato in un giorno a Palermo e in cinque giorni a Berlino.
EliminaTorino è strana, ma io ce l'ho fatta ad amarla, dopo un pochino.
RispondiEliminaCerto che anche tu vieni proprio nel weekend in cui io torno in Toscana dopo secoli!
Ti capisco, quello che tu hai provato per Torino è lo stesso che provo io ogni volta che vado a Bologna. Nel corso dell'ultimo viaggio l'ho apprezzata un po' di più, ma non riesco a farmela entrare nel cuore.
RispondiEliminaTorino, invece, mi è piaciuta molto... forse perchè, poi, ero andata a trovare una mia amica, per cui ci associo un ricordo piacevole!!!
Vedi , a me invece Bologna piace :)
Eliminachissa' cos'e', che ci fa innamorare di alcune citta' e di altre no. il vissuto, la compagnia, lo stato d'animo, il tempo. anche se non conosco nessuno che non abbia percepito un feeling speciale con Lisbona, ad esempio, mentre ne conosco tanti che con Milano non hanno avuto feeling ne' all'inizio ne' mai. Torino l'adoro, e anche le colline intorno. Ma forse sono di parte perche' tutta la mia famiglia e' piemontese : )
RispondiEliminadai, se ci pensi te l'avevo già spiegato.
RispondiEliminaTrattieni il respiro per il discorso dell'odore di merda e degli Arbre magique:
http://pensieriabortiti.blogspot.it/2015/03/la-bellezza-della-vita-spiegata-facile.html
prego prego
Non mi piace Torino. Ci sono stata diverse volte, per periodi anche lunghi, l'ho vissuta con persone localli che me l'han fatta conoscere pure in antri poco noti, ma a me proprio non piace. La trovo triste e grigia, mi mette addosso un senso di ansia permamente, una pesantezza che non mi appartiene.
RispondiEliminaInvece amo gli ostelli, perchè è come dici tu: uno spettacolo di varia umanità da studiare e che cambia ogni volta come un mosaico fluido che si può interpretare in tanti modi diversi.
lo so che il mio è un discorso assurdo, ma quello che mi è mancato , tutte le volte che sono stata a milano o a torino....è il mare, mentre ho amato follemente città che pur ne sono prive......
RispondiEliminaE' la prima cosa che guardo, quando mi alzo la mattina, mi rassicura, mi rasserena.
se poi vuoi farti un weekend a Genova, sono sicura che alle bimbe piacerebbe moltissimo e tra 10 giorni inizia pure il Suq!
Emanuela