Da ragazzina ero una non wannabe, che poi è lo stesso che dire che ero una wannabe.
Quello che non volevo essere era una che viene dalle case popolari, una che non va in gita perché sua madre non ci ha i soldi, una che non partecipa mai ai regali di compleanno.
Una che non ha il babbo, soprattutto. Una che ha una famiglia imbarazzante. Una a cui prestare i vestiti e i vecchi Top Girl. Una che non può comprare i cd. Per avere una vita più o meno normale, che comprendesse una vacanza low cost all'anno, qualche ingresso in discoteca e in seguito l'università, ho cominciato a lavorare quando avevo quindici anni prima d'estate, poi anche il venerdì e il sabato sera.
Io però venivo dal degrado, ce l'avevo dentro, in profondità. E il degrado mi attraeva intimamente ma soprattutto mi faceva tanta paura. Forse è per questo che frequentavo amiche che non facevano mai cazzate, e io stessa non facevo troppe cazzate.
Ciò che mi attraeva però, a volte avrei dovuto acchiapparlo, con più coraggio.
Come le idee politiche.
Nell'estate 2001, volevo andare a Genova. Ma non conoscevo nessuno che andava e lasciai perdere.
Mi attraeva il terrorismo, le Brigate Rosse, Osama Bin Laden. Volevo capire, leggevo montagne di libri. Ma poi non osavo infilarmi al centro sociale, a parlare con qualcuno, né mi facevo avanti a scienze politiche. Anche se ho sempre sperato che qualcuno mi chiamasse, e mi chiedesse la mia opinione, perché dietro ai silenzi avevo i mondi.
Il mio ragazzo si incazzava, diceva che queste erano stronzate, e io capii che ci saremmo lasciati a breve, perché lui mi voleva normale e inquadrata, ma io, pur sforzandomi, non riuscivo a esserlo.
La verità è che non era solo la timidezza a tenermi lontana da chi parlava di politica e si proclamava di sinistra.
Il mio era snobismo. Per un annetto, a diciotto anni, ho pensato che ero di destra, se la sinistra erano gli amici del liceo con la maglietta di Che Guevara.
Io cercavo, al mondo, non proprio dei politicanti da centro sociale, ma dei compagni. Che venissero dalle case popolari, che avessero paura di pronunciare la parola "eroina", che avessero conosciuto la fabbrica e le cucine dei ristoranti, per pagare la retta dell'università.
Li conobbi. Una era Alice. Ma come me, erano dei non wannabe.
Una canzone degli Articolo 31 diceva:
Però, ho scoperto dopo, non è che soffrivo solo io. Soffrivamo un po' tutti, chi più chi meno. E io mi sono persa un sacco di cose molto mie, quando per timidezza e snobismo, non andavo a occupare scienze politiche. Quando guardavo il centro sociale da fuori. Quando mi chiudevo nelle mie certezze, che poi credo fossero solo i miei libri. Quando immaginavo progetti per reintegrare i barboni, ma poi loro mi venivano a vendere Piazza Grande, il loro giornalino, e io non avevo il coraggio di parlare, di chiedere, di vedere, di scoprire.
Credevo che se fossi stata una persona normale, come le altre, che non si notava, allora avrei riscattato la Spoon River della mia infanzia e tutti quegli spettri che un po' amavo un po' deprecavo e avrei salvato me stessa dalla merda che avevo dentro, all'altezza dello stomaco.
Ma io non dovevo riscattare proprio nessuno, c'é voluta una psicologa che me lo dicesse con queste esatte parole, anni fa.
E io oggi a trentun anni, mi sento abbastanza pronta per non aver più paura dell'inquietudine che mi addormenta la sera e per vedermela, finalmente, con i rimpianti.
Quello che non volevo essere era una che viene dalle case popolari, una che non va in gita perché sua madre non ci ha i soldi, una che non partecipa mai ai regali di compleanno.
Una che non ha il babbo, soprattutto. Una che ha una famiglia imbarazzante. Una a cui prestare i vestiti e i vecchi Top Girl. Una che non può comprare i cd. Per avere una vita più o meno normale, che comprendesse una vacanza low cost all'anno, qualche ingresso in discoteca e in seguito l'università, ho cominciato a lavorare quando avevo quindici anni prima d'estate, poi anche il venerdì e il sabato sera.
Io però venivo dal degrado, ce l'avevo dentro, in profondità. E il degrado mi attraeva intimamente ma soprattutto mi faceva tanta paura. Forse è per questo che frequentavo amiche che non facevano mai cazzate, e io stessa non facevo troppe cazzate.
Ciò che mi attraeva però, a volte avrei dovuto acchiapparlo, con più coraggio.
Come le idee politiche.
Nell'estate 2001, volevo andare a Genova. Ma non conoscevo nessuno che andava e lasciai perdere.
Mi attraeva il terrorismo, le Brigate Rosse, Osama Bin Laden. Volevo capire, leggevo montagne di libri. Ma poi non osavo infilarmi al centro sociale, a parlare con qualcuno, né mi facevo avanti a scienze politiche. Anche se ho sempre sperato che qualcuno mi chiamasse, e mi chiedesse la mia opinione, perché dietro ai silenzi avevo i mondi.
Il mio ragazzo si incazzava, diceva che queste erano stronzate, e io capii che ci saremmo lasciati a breve, perché lui mi voleva normale e inquadrata, ma io, pur sforzandomi, non riuscivo a esserlo.
La verità è che non era solo la timidezza a tenermi lontana da chi parlava di politica e si proclamava di sinistra.
Il mio era snobismo. Per un annetto, a diciotto anni, ho pensato che ero di destra, se la sinistra erano gli amici del liceo con la maglietta di Che Guevara.
Io cercavo, al mondo, non proprio dei politicanti da centro sociale, ma dei compagni. Che venissero dalle case popolari, che avessero paura di pronunciare la parola "eroina", che avessero conosciuto la fabbrica e le cucine dei ristoranti, per pagare la retta dell'università.
Li conobbi. Una era Alice. Ma come me, erano dei non wannabe.
Una canzone degli Articolo 31 diceva:
Tu non vieni dalla strada. Solo chi non ci viene può pensare che sia cosa di cui vantarsi.Era vero.
Però, ho scoperto dopo, non è che soffrivo solo io. Soffrivamo un po' tutti, chi più chi meno. E io mi sono persa un sacco di cose molto mie, quando per timidezza e snobismo, non andavo a occupare scienze politiche. Quando guardavo il centro sociale da fuori. Quando mi chiudevo nelle mie certezze, che poi credo fossero solo i miei libri. Quando immaginavo progetti per reintegrare i barboni, ma poi loro mi venivano a vendere Piazza Grande, il loro giornalino, e io non avevo il coraggio di parlare, di chiedere, di vedere, di scoprire.
Berlino, Friedrichshain |
Credevo che se fossi stata una persona normale, come le altre, che non si notava, allora avrei riscattato la Spoon River della mia infanzia e tutti quegli spettri che un po' amavo un po' deprecavo e avrei salvato me stessa dalla merda che avevo dentro, all'altezza dello stomaco.
Ma io non dovevo riscattare proprio nessuno, c'é voluta una psicologa che me lo dicesse con queste esatte parole, anni fa.
E io oggi a trentun anni, mi sento abbastanza pronta per non aver più paura dell'inquietudine che mi addormenta la sera e per vedermela, finalmente, con i rimpianti.
intenso qs.post e quanto sento mia qs frase "dietro i silenzia avevo i mondi"
RispondiEliminaio invece ho come l'impressione che l'inquietudine sia sempre lì pronta. Ora mi pare che mi lasci stare ma tra qualche mese o anno tornerà ed io la caccerò via e poi tornerà di nuovo.
RispondiEliminaMa non me l'ha detto la psicologa, devo ancora andarci.
Anche la mia, di inquietudine, sta lì. Ma non mi fa più paura.
Eliminae resilientemente riuscì ad andare avanti, tenendo sempre con sé quell'inquietudine che prima la spaventava così tanto.
RispondiEliminaAbbiamo bisogno di questi rimpianti per essere quello che siamo. Io dico sempre che se fossi stato come sono adesso a 15 non sarei stato lo sfigato della classe. Ma se non fossi stato lo sfigato della classe probabilmente non sarei l'uomo che sono. Ed io, del mio ora, non faccio a cambio con nessuno.
RispondiEliminanessun commento. solo la voglia di dirti che mai ho letto, nè qua nè altrove, un post così bello, intenso, commovente , arrabbiato, dolce, come questo. Un pugno nello stomaco. Un cazzotto. ma un cazzotto bello, di quelli che costringono a fermarsi, tirare un lungo respiro e riflettere e dio sa se ce n'è bisogno.
RispondiEliminaTu non avresti mai potuto essere una persona che non si notava.
Sei una splendida donna che ha l'età di mia figlia e ciò ti dice quanti anni ho......e, credimi......mi intendo di splendide donne.
Sei una splendida donna.
Sei una splendida persona che ha il dono della luccicanza.
.Emanuela
Grazie, è bellissimo quello che dici.
Eliminacondivido ogni parola di Emanuela Rossi e anche l'eta' dato che anch'io ho un figlio di trentanni. Grazie Valentina per le emozioni che mi dai !
RispondiEliminaGrazie a te di leggere.
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