Quando avevo diciassette anni cercavo un lavoretto estivo. Da quando ho cominciato le superiori infatti, era previsto che ogni estate e alcuni week end mi procurassi un fondo-cassa per le mie spese.
Mamma spesso non riusciva neanche a darmi dieci euro per la ricarica del cellulare. Quando andavo in discoteca, battevo cassa dal nonno; i vestiti, spessissimo, me li prestavano le amiche.
Quell'anno sapevo che il fondo-cassa sarebbe servito per la scuola guida, perché a marzo avrei compiuto diciotto anni e mi volevo iscrivere appena possibile.
Non trovando altro, accettai un lavoro in fabbrica. Era un lavoro a tempo determinato, ed era una tra le prime volte che sentivo parlare di tempo determinato.
Si trattava di produrre dei pezzi di mosaico che sarebbe stato montato in un albergo americano, o almeno, così ci dissero.
Tutto il giorno mettevamo piccoli cubi di gesso dentro a una griglia, per comporre una parte del disegno. Il pattern che dovevamo seguire era sempre uguale, cambiava circa ogni dieci giorni.
Ricordo che la mattina andavamo in fabbrica presto, prima che facesse caldo. Tornavo a casa la sera con la schiena e le spalle distrutte dalla stanchezza, e il cervello completamente annichilito dalla mancanza di scopo con cui avevo trascorso la giornata, e dalle conversazioni umane, di cortissimo respiro, che avevo intrattenuto. Unica cosa divertente: un ragazzo nella fabbrica accanto ogni tanto appendeva al vetro comunicante tra i due capannoni fogli di carta scritti a mano, con apprezzamenti rivolti a me. Il secondo plus del lavoro in fabbrica era che, laddove gli esercenti che mi avevano assunto le due estati precedenti (e anche quelle successive), si erano sempre rifiutati di farmi un contratto, ora per la prima volta ricevevo una vera busta paga (e dei contributi, ma me ne sono accorta solo diversi anni dopo).
Finita la commessa, il proprietario assunse alcune delle ragazze a tempo indeterminato, mentre io tornai a scuola, regolarmente, a settembre.
Però mi sono sempre ricordata, come dire, quella sensazione come se qualcuno avesse, per un periodo, decurtato il mio orizzonte. Come se qualcuno mi avesse rubato le settimane e lasciato solo i week end. Come se avessi venduto la mia energia fisica, mettendo in stand by la mia testa, ogni giorno.
Adesso ci sono delle volte che mi sento un po' uguale. Grazie a dio, il mio lavoro mi piace tanto, e no, non si tratta di montare pezzetti di mosaico. Però arrivo a casa prendo le bambine cucino stendo i panni lavo i piatti faccio la doccia lavatevi i denti scrivo o leggo letto e poi daccapo.
A volte mi basterebbe un abbraccio mentre mi addormento, per sentirmi meglio.
Credo che dovrei aggiungere il tag "sta per venirmi il ciclo".
Stamattina ascolto Maria Maria di Mercedes Sosa.
Una mujer que merece vivir
y amar como otra mujer del planeta
De una gente que re
cuando debe llorar
y no vive,
apenas aguanta.
Mamma spesso non riusciva neanche a darmi dieci euro per la ricarica del cellulare. Quando andavo in discoteca, battevo cassa dal nonno; i vestiti, spessissimo, me li prestavano le amiche.
Quell'anno sapevo che il fondo-cassa sarebbe servito per la scuola guida, perché a marzo avrei compiuto diciotto anni e mi volevo iscrivere appena possibile.
Non trovando altro, accettai un lavoro in fabbrica. Era un lavoro a tempo determinato, ed era una tra le prime volte che sentivo parlare di tempo determinato.
Si trattava di produrre dei pezzi di mosaico che sarebbe stato montato in un albergo americano, o almeno, così ci dissero.
Tutto il giorno mettevamo piccoli cubi di gesso dentro a una griglia, per comporre una parte del disegno. Il pattern che dovevamo seguire era sempre uguale, cambiava circa ogni dieci giorni.
Ricordo che la mattina andavamo in fabbrica presto, prima che facesse caldo. Tornavo a casa la sera con la schiena e le spalle distrutte dalla stanchezza, e il cervello completamente annichilito dalla mancanza di scopo con cui avevo trascorso la giornata, e dalle conversazioni umane, di cortissimo respiro, che avevo intrattenuto. Unica cosa divertente: un ragazzo nella fabbrica accanto ogni tanto appendeva al vetro comunicante tra i due capannoni fogli di carta scritti a mano, con apprezzamenti rivolti a me. Il secondo plus del lavoro in fabbrica era che, laddove gli esercenti che mi avevano assunto le due estati precedenti (e anche quelle successive), si erano sempre rifiutati di farmi un contratto, ora per la prima volta ricevevo una vera busta paga (e dei contributi, ma me ne sono accorta solo diversi anni dopo).
Finita la commessa, il proprietario assunse alcune delle ragazze a tempo indeterminato, mentre io tornai a scuola, regolarmente, a settembre.
Però mi sono sempre ricordata, come dire, quella sensazione come se qualcuno avesse, per un periodo, decurtato il mio orizzonte. Come se qualcuno mi avesse rubato le settimane e lasciato solo i week end. Come se avessi venduto la mia energia fisica, mettendo in stand by la mia testa, ogni giorno.
Adesso ci sono delle volte che mi sento un po' uguale. Grazie a dio, il mio lavoro mi piace tanto, e no, non si tratta di montare pezzetti di mosaico. Però arrivo a casa prendo le bambine cucino stendo i panni lavo i piatti faccio la doccia lavatevi i denti scrivo o leggo letto e poi daccapo.
A volte mi basterebbe un abbraccio mentre mi addormento, per sentirmi meglio.
Credo che dovrei aggiungere il tag "sta per venirmi il ciclo".
Stamattina ascolto Maria Maria di Mercedes Sosa.
Una mujer que merece vivir
y amar como otra mujer del planeta
De una gente que re
cuando debe llorar
y no vive,
apenas aguanta.
Sì, ci sono altri lavori così, magari meglio pagati e meno faticosi. Tu strisci il badge, lasci la tua parte umana gioiosa all'ingresso e vedi se, uscendo la sera, riesci a ritrovarla. Io, non ti sto a dire, svolgo uno di questi lavori Tanto che, siccome stavo andando in depressione, ho chiesto un part time e lavoro da un'altra parte, con il sogno di mollare quello ipergarantito ma avvilente in maniera definitiva. E sì, me lo ripeto ogni mattina che sono fortunata ad averne uno fisso, di lavoro.
RispondiEliminaNon conosco la tua situazione ma due anni fa facevo un lavoro a tempo indeterminato che mi spegneva. Ho mollato per un lavoro precarissimo che purtroppo mi ha portato grandi mal di fegato e che ho, di nuovo mollato, per un lavoro a progetto che adoro. Dopo un anno mi hanno dato il tempo indeterminato, di nuovo. Però ho dovuto tirar fuori del coraggio. :)
EliminaHo anche io un bel progettone, che sto portando avanti con mio marito. Purtroppo non posso mollare ancora del tutto questo, vedi alla voce mutui..Che posso dire? Sperem ben
EliminaIn bocca al lupo.
Eliminac'era un film giapponese o coreano non ricordo dove lui lasciava i fogli scritti a penna con gli apprezzamenti per lei... e forse fiori oppure origami o peluche quelle cose superiperjapan.
RispondiEliminaAnche io ho lasciato il mio tempo dentro qualche lavoro del cazzo. Non me lo sono più ripreso. Il tempo. Intendo. Però qualcosa è rimasto. Il tempo stratificato delle cose che facciamo siamo noi. In fondo. O no? Anche se verrebbe da dire ma chi cazzo me l'ha fatta fare. Forse. Ho il ciclo oggi. Arrivato presto stamattina. Vedremo come si evolve il resto della giornata.
verissimo, siamo la somma di tutto questo. E infatti quel lavoro in fabbrica lo rifarei.
EliminaMio padre lo ha fatto per 37 anni...e ti assicuro che una vita così ti "castra" non poco...
RispondiEliminaImmagino :(
EliminaCapisco.
RispondiEliminaProvai la tua identica sensazione quando, a 19 anni, andai a lavorare, non in fabbrica, ma in una libreria nel periodo di vendita dei testi scolastici (da agosto a fine settembre) e a volte facevo gli starirdinari fino a mezzanotte, mangavamo pizza al taglio nello scantinato a turno e il giorno di riposo infrasettimanale era stato suddiviso in tre rientri di due ore per pranzo... al limite dello schiavismo. Se non che un bel gionro mi arrivò la prima busta paga e mi sentii per la prima volta artefice del mio destino. Quando finì il contratto e io ripresi in mano gli esami del primo anno lasciati in sospeso lo shock fu grande, e passai un periodo di depressione vera. Come se avessi vissuto in apnea per due mesi e mi chiedevo: la mia vita futura sarà sempre così? Sentirsi mangiata la vita a ora da un lavoro che ti rende in cambio denaro che non hai tempo di goderti?
Poi per 5 anni ho lavorato part time in tre diversi ristornati. Lavoravo la sera, di giorno studiavo. Part time si fa per dire perchè ci sono stati giorni in cui mi sono fatta 14 ore di lavoro con il doppio turno, e alcune sere in cui rincasavo alle tre disfatta.
Oggi sono laureata con lode, ho due figlie piccole e nessuna prospettiva seria di lavoro.
Ma, poichè ho conosciuto anche l'altra faccia della medaglia so che, miseria o no, quello che ho è tantissimo: il mio tempo con loro, che non torna. Il denaro chissà. Forse un giorno.
Ti abbraccio.
A volte ho la strana sensazione che tu sia un'amica lontana che non vedo da tempi immemorabili. E' un momentaneo lapsus della ragione.
...Bello...
EliminaNon è un lapsus della ragione. Si conosce meglio chi che scrive e che non hai mai visto rispetto alle persone con cui ti fermi a parlare al bar.
EliminaMio padre è stato tuta blu per più di trent'anni e la fatica la porta ancora in giro ora... io sono orgoglioso di lui.
RispondiEliminaLa mi attenzione, però si sofferma su Mercedes Sosa.
RispondiEliminaChe donna.
ciao Vale cara
Figa si dice.
RispondiElimina♡
Bah :)
EliminaPerché' leggo il titolo di un post dopo questo....ma non lo leggo? Sofia
RispondiEliminaMa succede solo a me? Sofia bis
EliminaNu, avevo scritto un post che poi ho deciso che non mi andava più di lasciare pubblicato.
EliminaGrazie per il chiarimento, con l'occasione ti dico che ogni volta che vedo un tuo nuovo post mi rallegro, sei una persona molto bella e ricca di sfaccettature, mi migliora sapere che ci sei! :-) s.
Elimina"il cervello completamente annichilito dalla mancanza di scopo con cui avevo trascorso la giornata, e dalle conversazioni umane, di cortissimo respiro, che avevo intrattenuto".
RispondiEliminaEsprimi benissimo quello che provo quasi tutti i giorni.
Sono stata fortunata perché pur non avendo frequentato l'università mi è capitato un lavoro con contratto a tempo indeterminato, non è faticoso, anche se mi priva di tutti i weekend e le feste, ma più che altro non è quello che voglio fare, non sono io. E tutti mi dicono che il lavoro è un mezzo, accontentati che c'è la crisi, ma sono sei giorni su sette sempre lì e ti spegne. Ma il problema più grande è che non vedo un'alternativa, come si capisce dove vanno incanalate le proprie energie per cambiare vita?
Eh, hai detto bene, niente alternative.
EliminaTuta blu anch'io, nel periodo dell'università, 5 estati a confezionare la passata rustica alla Cirio.
RispondiEliminaIl primo anno mi chiedevo come facessero le donne a tempo indeterminato a reggere a quel lavoro, ai turni, alla puzza di pomodoro e via dicendo.
Poi ho capito che quando sei felice, che se a casa ti aspetta qualcuno che ti abbraccia, il lavoro è solo un mezzo per pagare le bollette.
Inutile la carriera se sei sola.
Il lavoro non è la vita.
Se potessi scegliere passerei le giornate a viaggiare in quei posti che le agenzie viaggi non ti segnalano perchè non sono in.
Imparerei tutte le culture, mi immergerei completamente.
Non si può fare però.
Allora faccio quello che passa il convento e mi godo marito e figli.
Quando arrivo a casa sprango la porta e chiudo tutto il mondo fuori.
Io faccio un bel lavoro, ma applico la stessa filosofia per altri ambiti della vita. Vivo nonostante, ecco. E' l'unica.
EliminaIo ho lavorato sempre e solo nella ricerca, in pratica all'estremo opposto della scala. Negli anni ho conosciuto diversi momenti bui, perché mi rendevo conto che non staccavo mail. Sulla carta avevo ritmi di lavoro molto flessibili e blandi, tranne quei momenti in cui per una scadenza facevi notte su un articolo o su una presentazione. Però in pratica non staccavo mai, il lavoro mi seguiva a casa, mi teneva sveglia la notte, perché qualsiasi minuto passato a farmi i cavoli miei era un minuto da contendere al senso di colpa, perché magari se lo avessi passato a studiare avrei capito prima perché i miei risultati non erano quelli che speravo. Dura da spiegare. Con una collega che mi somiglia molto, un giorno ci siamo confessate di aspirare a lavori più manuali, del tipo che racconti tu. Immaginavamo che in quel caso ad una certa ora avremmo staccato la spina e avuto accesso ad una vita che fosse nostra, dove non ci saremmo sempre sentite come ad un esame, di quelli per i quali sai di non esser preparata.
RispondiEliminaArya guarda, ne parlavo proprio l'altro giorno con un mio amico ricercatore. Credo di poter un po' capire, perché quando andavo all'università, in piccolo, provavo qualcosa di simile. Anche ora provo qualcosa di simile: lavoro come una pazza e poi a casa spesso leggo libri per approfondire argomenti lavorativi. Però a casa stacco per forza, perché devo star dietro alle bimbe. Certo, se sei in fabbrica questo non accade, però ti assicuro che anche passare trent'anni a realizzare pezzi di mosaici che non vedrai mai montati, non aiuta il tuo senso di efficacia.
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