Recentemente, ho pranzato da un'amica. Eravamo quattro: tre ragazze e un ragazzo. Loro sono amici sin dalla scuola, io li conosco da meno tempo. Altri amici, altri giri, altra scuola, io ho qualche anno in meno.
Una delle due ragazze e il ragazzo, ai tempi della scuola, per un periodo, si sono frequentati. Lei ha detto che lui a suo tempo l'ha lasciata per un'altra, lei ci è passata sopra in qualche ora e qualche sorsata di Montenegro, e ora, dopo quindici (tredici? Diciassette? Venti?) anni sono ottimi amici.
Io e una delle ragazze siamo mamme. Tutti abbiamo convissuto con qualcuno. nessuno di noi s'è sposato. Non so se tra noi quattro qualcuno crede all'amore. Io, a occhio e croce, no.
Ridevamo molto. Eravamo proprio molto sereni e allegri e consapevoli.
Io, mi succede sempre più spesso che guardo le cose da fuori. Guardo noi a quindici anni, e poi guardo noi che abbiamo tutti superato i trenta, come se tra le due scene non ci fosse tanto e tanto tempo in mezzo.
E se penso a come ridevo a quindici anni, adesso rido più forte. Oppure rido più tristemente. La verità è che rido diversamente.
Penso alle mie amiche, a quello che erano, a quello che immaginavano di diventare, a quello che sono diventate.
E penso a me.
A tutto quello che ho avuto, che ha oltrepassato la mia immaginazione.
A quello che consideravo imprescindibile, e che invece non ho avuto.
A quanto anelassi la solitudine e il silenzio di una casa solo mia.
Ai viaggi che avrei voluto fare e che magari farò.
Penso ai baci che ho dato.
E a quando mi sono illusa, e invece con il senno di poi, dico che era chiaro come il sole, che mi stavo illudendo.
Penso che non avrei mai pensato che un giorno mi sarei svegliata ogni mattina senza pensare a qualcuno, e sarei andata a letto ogni sera, senza pensare a qualcuno. Non so se penso che questo sia bello o brutto, se sono più forte o solo più arida, fredda e sbagliata.
Penso a tutte le volte che mi sono arrabbiata per niente. E a tutte le volte che ho ferito o ho dato a qualcuno la possibilità e la responsabilità di ferirmi, così, senza usare precauzioni, così, come se mi mettessi nuda, quando invece avrei dovuto mettere l'armatura o, almeno, una tuta da sci. E invece ho sempre fatto prima a spogliarmi che a rivestirmi.
Penso a tutte le volte che sono cambiata, che sono stata incoerente. Che ho preso le distanze, con me stessa, da quello che avevo fatto o pensato.
E a quando ho imparato a non vergognarmi mai, di quello che ho fatto o pensato, perché tanto non esiste nessuno che sa tutto quello che ho fatto o pensato. E il segreto che ho imparato è che bisogna raccontarla senza raccontarsela.
E questo che penso non è un bilancio, perché io il bilancio non lo voglio fare, non è ancora il momento. Posso solo valutare il mio lavoro in fieri, l'arabesco tra il punto di inizio e il punto di ora, immaginando l'arabesco che sarà, che non potrà che essere un arabesco, con le sue discese ardite e le sue risalite e, infine, confessare che ho vissuto.
Però no, quando rido con i miei amici come a quindici anni, non rido proprio come quando avevo quindici anni.
Una delle due ragazze e il ragazzo, ai tempi della scuola, per un periodo, si sono frequentati. Lei ha detto che lui a suo tempo l'ha lasciata per un'altra, lei ci è passata sopra in qualche ora e qualche sorsata di Montenegro, e ora, dopo quindici (tredici? Diciassette? Venti?) anni sono ottimi amici.
Io e una delle ragazze siamo mamme. Tutti abbiamo convissuto con qualcuno. nessuno di noi s'è sposato. Non so se tra noi quattro qualcuno crede all'amore. Io, a occhio e croce, no.
Ridevamo molto. Eravamo proprio molto sereni e allegri e consapevoli.
Io, mi succede sempre più spesso che guardo le cose da fuori. Guardo noi a quindici anni, e poi guardo noi che abbiamo tutti superato i trenta, come se tra le due scene non ci fosse tanto e tanto tempo in mezzo.
E se penso a come ridevo a quindici anni, adesso rido più forte. Oppure rido più tristemente. La verità è che rido diversamente.
Penso alle mie amiche, a quello che erano, a quello che immaginavano di diventare, a quello che sono diventate.
E penso a me.
A tutto quello che ho avuto, che ha oltrepassato la mia immaginazione.
A quello che consideravo imprescindibile, e che invece non ho avuto.
A quanto anelassi la solitudine e il silenzio di una casa solo mia.
Ai viaggi che avrei voluto fare e che magari farò.
Penso ai baci che ho dato.
E a quando mi sono illusa, e invece con il senno di poi, dico che era chiaro come il sole, che mi stavo illudendo.
Penso che non avrei mai pensato che un giorno mi sarei svegliata ogni mattina senza pensare a qualcuno, e sarei andata a letto ogni sera, senza pensare a qualcuno. Non so se penso che questo sia bello o brutto, se sono più forte o solo più arida, fredda e sbagliata.
Penso a tutte le volte che mi sono arrabbiata per niente. E a tutte le volte che ho ferito o ho dato a qualcuno la possibilità e la responsabilità di ferirmi, così, senza usare precauzioni, così, come se mi mettessi nuda, quando invece avrei dovuto mettere l'armatura o, almeno, una tuta da sci. E invece ho sempre fatto prima a spogliarmi che a rivestirmi.
Penso a tutte le volte che sono cambiata, che sono stata incoerente. Che ho preso le distanze, con me stessa, da quello che avevo fatto o pensato.
E a quando ho imparato a non vergognarmi mai, di quello che ho fatto o pensato, perché tanto non esiste nessuno che sa tutto quello che ho fatto o pensato. E il segreto che ho imparato è che bisogna raccontarla senza raccontarsela.
E questo che penso non è un bilancio, perché io il bilancio non lo voglio fare, non è ancora il momento. Posso solo valutare il mio lavoro in fieri, l'arabesco tra il punto di inizio e il punto di ora, immaginando l'arabesco che sarà, che non potrà che essere un arabesco, con le sue discese ardite e le sue risalite e, infine, confessare che ho vissuto.
Però no, quando rido con i miei amici come a quindici anni, non rido proprio come quando avevo quindici anni.
"il segreto che ho imparato è che bisogna raccontarla senza raccontarsela". Ecco. Inoltre quello che capisci ogni giorno è solo la somma di quello che non hai capito i giorni prima.
RispondiEliminaTrent'anni forse è aprire gli occhi. Ma mi sembrava di averli aperti anche a venti. Chissà.
EliminaPenso che non avrei mai pensato che un giorno mi sarei svegliata ogni mattina senza pensare a qualcuno, e sarei andata a letto ogni sera, senza pensare a qualcuno. Non so se penso che questo sia bello o brutto, se sono più forte o solo più arida, fredda e sbagliata.
RispondiEliminaIo ti quoto :)
madonna, pure io!! di brutto anche :-)
Eliminasimona
Bellissimo post, vorrei averlo scritto io.
Già,a 30 anni si ride diversamente da quando ne avevamo 15,l'importante è conservarla,la capacità di ridere:-)
RispondiEliminaSei proprio una delle mie blogger preferite!! Bellissimo post, complimenti. Anche io ogni tanto quando sono con le amiche mi guardo da "fuori"..
RispondiEliminaunsecondoederoincinta.blogspot.it
grazie!
Elimina...poi impari. Purtroppo sì.
RispondiEliminaHo appena condiviso questo post sul profilo fb. E il segreto che ho imparato è che bisogna raccontarla senza raccontarsela - quanta verita'.
RispondiEliminaalmeno gli anni che passano lasciano il segno nella tua saggezza, fra qualche tempo vedrai che potrai persino dispensar consigli, anche se non recepiti dalla prole.
RispondiEliminaForse arriverai a consigliare che se proprio proprio si decide di frequentare stronzi, ebbene è sempre meglio sceglierli tra i ricchi, visto che abbondano ovunque.
Dài, io non ne ho mai beccato uno :)
EliminaMa questo post è bellissimo. Più degli altri, che mi piacciono sempre molto.
RispondiEliminaBellissimo, Vale.
RispondiElimina"Io mi divertivo ad avere trent'anni, io me li bevevo come un liquore i trent'anni. Sono stupendi i trent'anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatre, i trentaquattro, i trentacinque!Sono stupendi perche' sono liberi, ribelli, fuorilegge, perchè è finita l'angoscia dell'attesa, e non è cominciata la malinconia d...el declino.Perchè siamo lucidi, finalmente, a trent'anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti; se siamo atei siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna.E non temiamo le beffe dei ragazzi perchè anche noi siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi siamo adulti. Non temiamo il peccato perchè abbiamo capito che il peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perchè abbiamo scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perchè abbiamo concluso che non c'è nulla di male ad amarci se c'incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell'olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi.Siamo un campo di grano maturo a trent'anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. E' viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange come non ci riuscirà mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui scenderemo un po' ansimanti e tuttavia freschi.Non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e avanti e meditare sulla nostra fortuna..."
RispondiEliminaovviamente O. Fallaci
che sia un augurio e un memento
meraviglioso. Oriana Fallaci non mi è particolarmente simpatica come donna, ma è stata un'eccellente giornalista e una buona scrittrice. Grazie davvero.
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